Domenica 6 ottobre, commento di don Renato De Zan

Il bene fa bene a noi. Non aggiunge nulla che Dio non abbia già: questo insegna la parabola della fede e del granello di senapa

Lc 17,5-10In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: “Accresci in noi la fede!”. Il Signore rispose: “Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe. Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare””.

Tematica liturgicaPer alcune domeniche la comunità cristiana ha riflettuto e pregato attorno al tema del rapporto tra il cristiano e le ricchezze (possesso, potere, ecc.). Con questa domenica inizia un nuovo ciclo tematico che ruota attorno alla fede. Quando nel cristianesimo si dice “fede”, si dicono due realtà profondamente connesse e interdipendenti. Con la parola “fede” si dice il legame fiduciale e operativo con Dio. Ma con la parola “fede” si dice anche l’adesione alle verità presenti in modo esplicito o implicito nel deposito della rivelazione (Scrittura nella Tradizione) e indicate dalla Chiesa. Se si volesse esprimere in modo diverso quanto appena espresso, si potrebbe dire che la relazione di amore operoso con Dio dà vita all’accoglienza delle verità che Egli ha voluto rivelare e ai valori morali che Egli ha voluto proporre per il bene dell’uomo. E le opere dove sono? San Giacomo, infatti, dice che la fede senza le opere è morta (Gc 2,17-18: “Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta. Al contrario uno potrebbe dire: “Tu hai la fede e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede””). Quanto detto è giustissimo. Se la fede è solo adesione alla verità pluriforme di Dio, è necessario aggiungere le opere. Se la fede, invece, è un legame di amore e di fascino con Dio, le opere sgorgano necessariamente. Se un uomo ama la sua donna e viceversa, le opere d’amore non hanno bisogno di essere comandate. È importante l’albero. I frutti vengono di conseguenza.Nella prima lettura tratta dal profeta Abacuc (Ab 1,2-3; 2,2-4), un’invocazione del profeta a Dio e la risposta di Dio, c’è un messaggio forte sul tema della fede che precede le opere: “Ecco, soccombe colui che non ha l’animo retto, mentre il giusto vivrà per la sua fede”. Quest’espressione (“il giusto vivrà per la sua fede”) è stata ripresa da Paolo (Rm 1,17) per affermare che la giustificazione (essere fatti giusti da Dio per essere salvati) non deriva dall’osservanza della Legge, ma dalla fede (cfr Rm 3,28: “Noi riteniamo infatti che l’uomo è giustificato per la fede, indipendentemente dalle opere della Legge”). Sappiamo che questo tema, fede-opere, creò nel sec. XVI un dibattito forte tra Lutero e la Chiesa cattolica. La discussione venne chiusa con il Concilio di Trento, dove la fede è dichiarata salvifica se è una fede fiduciale, operosa e accogliente la verità di Dio. I discepoli dicono a Gesù: “Aumenta la nostra fede!” (vangelo: Lc 17,5-10). perché avevano ascoltato il loro Maestro che esigeva una grande libertà interiore per seguirlo. Gesù li lascia stupiti. Nella fede non è questione di quantità. Anche se la fede è piccola (“quanto un granello di senape”) è capace di fare miracoli. L’importante è che la fede ci sia.

Dimensione letterariaTesto biblico e testi biblico-liturgico coincidono (fatto salvo per l’incipit liturgico: “In quel tempo”). Il testo biblico-liturgico è suddivisibile in due parti. Nella prima parte (Lc 17,5-6) Gesù, interpellato dalla richiesta dei suoi discepoli, offre un insegnamento sulla fede. Nella seconda (Lc 17,7-10), Gesù, andando oltre la teologia ebraica di quel tempo, propone il suo insegnamento sulle opere. Ciò che è fondamentale è la fede, mentre le opere vengono in subordine. Le opere sono la manifestazione della fede e non la sostituiscono. L’ultima affermazione (“Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”) desta sorpresa. L’espressione greca “dùloi achrèiòi esmen”, tradotta alla lettera, equivale a: “Siamo servi inutili”. Nella scienza della traduzione (traduttologia) si sa che rispettare la lingua di partenza (greco con substrato aramaico) significa ottenere un equivoco nella lingua di arrivo (italiano) e, viceversa, rispettare la lingua di arrivo significa perdere le caratteristiche della lingua di partenza. Rispettando ambedue, il significato sarebbe il seguente: “Siamo servi che non recano vantaggio al loro padrone” oppure “Siamo servi che non fanno guadagnare al padrone niente che egli già non abbia”.

Riflessione biblico-liturgicaa. C’è una fede che salva e una che non salva. La fede che non salva è quella che accetta i misteri di Dio come oggetto di fede, ma non ha assolutamente nessun tipo di legame fiduciale, amorevole, contemplativo, obbedienziale con Dio e operante. Ma io so che Dio esiste, non basta? Anche il Demonio sa che Dio esiste eppure non è salvo (cfr Gc 2,20).b. La parabola del padrone e del servo taglia alla radice qualunque pretesa che l’uomo può avere di donare qualche cosa a Dio per cui Dio “deve” dare un premio. Le opere da sole salvano? No. I farisei ne sono l’esempio più chiaro. Essi sono “commedianti” (ipocriti) della fede, pur adempiendo le opere della legge.