Perché la paura se avete la fede?

Gesù ferma la tempesta e con essa la paura dei discepoli che si credevano perduti

Mc 4,35-41In quel giorno, verso sera, Gesù disse ai suoi discepoli: “Passiamo all’altra riva”. E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui. Ci fu una gran tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: “Maestro, non t’importa che siamo perduti?”. Si destò, minacciò il vento e disse al mare: “Taci, calmati!”. Il vento cessò e vi fu grande bonaccia. Poi disse loro: “Perché avete paura? Non avete ancora fede?”. E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: “Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?”.

Tematica liturgicaIl salmista supplica Dio di parlargli: “A te grido, Signore, mia roccia, con me non tacere: se tu non mi parli, sono come chi scende nella fossa” (Sal 28,1). L’origine e lo scopo dell’esistenza, le grandi difficoltà della vita, il mistero della morte, l’oscurità del tradimento dell’amore e dell’amicizia: sono tra gli enigmi più grandi che gravano sull’uomo. Senza Dio che entra in dialogo con l’uomo, l’enigma (= nessuno sa niente) cessa di diventare mistero (= io non so, ma Dio sa) per farsi macigno che sfianca e distrugge: la morte e la sconfitta diventano paura e la vita resta chiusa dentro l’orizzonte della storia. Se, invece, l’uomo ha la capacità di ascoltare Dio e di fidarsi di Lui, dietro all’enigma coglierà il “mistero che è in mano a Dio”, creatore e padrone del creato (1° lettura, Gb 38,1.8-11), Padre e salvatore dell’uomo. L’episodio della tempesta sedata è quanto mai chiarificatore. Dietro alla tempesta vissuta dagli apostoli nel lago di Galilea si cela l’enigma. Di fronte ad esso anche gli apostoli hanno avuto paura, come Gesù stesso, nel Getsemani, ebbe paura (cfr Mc 14,33: “Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia”). Gesù superò il momento tremendo dell’agonia del Getsemani, affidandosi alla volontà di Dio e non alla paura. Paurosi, in greco si dice “deiloi”. Il vocabolo compare solo tre volte nel Nuovo Testamento e sempre al plurale (Mt 8,26; Mc 4,40; Ap 21,8) per indicare i discepoli che non hanno fede in Gesù nel momento del pericolo (Mt 8,26: “Perché avete paura, gente di poca fede?”; Mc 4,40: “Perché avete paura? Non avete ancora fede?”) oppure le persone che non meritano il paradiso (Ap 21,8: “Ma per i vili e gli increduli, gli abietti e gli omicidi, gli immorali, i maghi, gli idolatri e per tutti i mentitori è riservato lo stagno ardente di fuoco e di zolfo. Questa è la seconda morte”). La Bibbia non dice che la “paura” sia negativa perché salvaguarda dalle situazioni pericolose. Diventa negativa quando fa diventare enigma ciò che è mistero.

Dimensione letterariaL’espressione originale della pericope evangelica (“In quel medesimo giorno, venuta la sera…”) lega l’episodio della tempesta sedata al discorso parabolico di Gesù. La Liturgia modifica il testo in questo modo: “In quel giorno, venuta la sera”, togliendo il legame con il discorso parabolico e invitando così il credente a soffermarsi sull’episodio e sull’insegnamento di Gesù. Sembra che Mc 4,35-41 fosse un testo che la tradizione premarcana avesse già rimaneggiato. La traccia più evidente si ha in Mc 4,36 dove compare la frase “c’erano anche altre barche con lui”. La frase non ha né funzione narrativa (più avanti non viene spiegata la funzione) né teologica. Inoltre, l’inizio del testo (“In quel giorno, verso sera…”) indica una elaborazione greca. Nel mondo ebraico il giorno successivo incominciava proprio alla sera del giorno precedente. Il testo di Mc 4,35-41 può essere così suddiviso in tre parti: presentazione della scena (Mc 4,35-38), il miracolo in un solo versetto (Mc 4,39), insegnamento di Gesù e reazione dei discepoli (Mc 4,40-41).

Riflessione biblico-liturgicaa. Nella narrazione evangelica, l’autore adopera due verbi per illustrare l’autorità e il potere di Gesù: “epitimào” (intimare, sgridare) e “fimòo” (mettere la museruola, far tacere). Questi verbi verranno adoperati dall’evangelista per narrare l’esorcismo dell’uomo posseduto dal demonio (Mc 9,25). Alcuni biblisti ritengono che l’evangelista abbia voluto vedere nel mare in tempesta il simbolo delle potenze demoniache sulle quali Gesù manifesta potere e autorità, per la salvezza dell’uomo.b. Gesù appare nel racconto della tempesta sedata (Mc 4,37-41) come una persona conosciuta solo in parte. Prima, i discepoli lo chiamano Maestro. Alla fine del racconto, i discepoli si chiedono chi sia per davvero il Maestro. Hanno, infatti, visto in Lui il potere di Dio creatore e salvatore: Gesù aveva appena manifestato il suo potere sul mare come Yhwh l’aveva dimostrato sul Mare Rosso (cfr. Sal 74,14-15) e sulle acque delle origini (cfr. Sal 89,10-11).c. Il testo evangelico invita alla prudenza. Non è corretto dire di conoscere Gesù, ma non corretto neppure il contrario, cioè affermare di non conoscerlo. L’episodio biblico suggerisce un dato più sapiente: Gesù può essere conosciuto in modo progressivo. Per ottenere questo atteggiamento sono necessarie l’umiltà, la perseveranza e la consapevolezza che si può avere una piena conoscenza del Maestro solo nell’escatologia, quando lo  sguardo umano verrà trasformato perché Dio sarà conosciuto come egli è.