Intervista al teologo Paolo Ricca: senza la fede c’è lo spaesamento

Con coraggio e audacia ha pubblicato un libro dal titolo ambizioso "Dio", sottotitolo "Apologia". In realtà - dice - va difesa la fede: "perderla implica la perdita di direzione: non si sa più dove andare, manca un senso plausibile. Manca alla storia individuale e manca alla storia collettiva. Il disorientamento profondo che ne consegue è ciò che vediamo"

Con coraggio e audacia ha pubblicato un libro dal titolo ambizioso “Dio”, sottotitolo “Apologia”. Lo ha presentato all’auditorium del Vendramini giovedì 23 marzo, ospite di Aladura e Stefano Bortolus, perla finale del percorso annuale di incontri 2022-2023, raccolti attorno al tema “Nuvole”. L’autore in questione è il professor Paolo Ricca, classe 1936, pastore valdese, docente in tanti atenei che è lungo elencare, autore di altrettante opere. Di lui e della sua sapienza basti questo aneddoto, raccontato dal cardinale Gianfranco Ravasi: “Un giorno papa Benedetto XVI, di fronte alla mia prolifica e variegata bibliografia, mi suggerì di scrivere un libro semplicemente su Dio. Non l’ho mai fatto perché è più arduo di quanto si immagini. Ora non è per me necessario, perché l’ha fatto meglio di me proprio Paolo Ricca”. Il prof. Ricca ha concesso a Il Popolo un’intervista a proposito del volume (e non solo).

Prof. Ricca lei ha scritto “Dio. Apologia”. Dio ha oggi bisogno di essere difeso? Da chi o da cosa?C’è un equivoco in questo titolo, da me provocato. Il titolo sembra voler dire che l’apologia si riferisca a Dio, ma ciò sarebbe ridicolo: è Dio che deve difendere noi. L’apologia, come spiego poi nel testo, si riferisce alla fede cristiana.La fede va difesa da chi o cosa?La fede è una cosa bella e grandiosa. E’ tanto preziosa eppure ai nostri tempi ha bisogno di essere ricordata, fatta presente. La fede si è tramandata nelle generazioni a noi precedenti per secoli e ora invece si va ampliamente abbandonando, senza neanche sapere bene quello che si fa, direi senza comprendere quanto si perde, perdendola. Cosa implica questo perdere la fede?Implica la perdita di direzione: non si sa più dove andare, manca un senso plausibile. Manca alla storia individuale di ciascuno e manca pure alla storia collettiva. Il disorientamento profondo che ne consegue è ciò che vediamo: è la incresciosa irresponsabilità del nostro operare collettivo, quella che provoca crisi spaventose, a partire da quella climatica. Il senso è questo: quando non c’è una guida c’è lo sbandamento, come un esercito senza comando che va allo sbando. Pensiamo al problema delle migrazioni: è gigantesco, epocale e noi tendiamo invece a normalizzare una tragedia immensa, quella di chi non può vivere dove nasce.Crisi climatica: lei scrive che Dio creatore ama la terra al punto da garantire che “la terra e la vita dureranno, perché non ci sarà più un cataclisma come il diluvio” (Noè); ma che l’uomo, creatura, non ama la terra e la inquina. Cita Greta Thunberg come una profetessa: perché?Scrivo profetessa inconsapevole, senza saperlo, anche perché non so se ha un legame vivo con una chiesa. Ma questo non importa: si veda il pagano Ciro di cui Dio si servì per liberare il suo popolo. Nella Bibbia Ciro è una figura messianica: è Dio che sceglie chi vuole per mandare un messaggio. Greta è una profetessa nel senso che è l’unica a dire la verità e senza remore: questo è pure un tratto tipico del profeta. Si veda Amos, il mandriano, chiamato da Dio a denunciare la corruzione. Spesso il profeta è così: senza patenti particolari, figura quasi minore che fatica a farsi ascoltare.Tornando all’apologia: nel libro lei ricorda molti detti su Dio. Uno è “Dio è morto” di Nietzsche. Attualizzandolo diventerebbe: Dio è dimenticato?Qui io distinguerei tra le varie culture esistenti nel mondo. Nella nostra, la critica alla religione è così presente e continua che non ha eguali in nessun altro luogo della terra. Si pensi all’islam: una cosa simile non sarebbe possibile. Dal ’600 ad oggi si indaga e si smantella la genesi della religione: è stata definita una fiaba nata per sopperire alle paure degli uomini, oppure un oppio dei popoli utile ad imbonirli. Per Sartre Dio è indifferente a noi e al mondo. che ci sia o meno non cambia nulla.Allora noi, a questo punto, dobbiamo ricominciare da capo, rimettere le basi. Invece vedo che oggi la chiesa – e nella definizione non metto distinguo, intendo la chiesa come fosse unica – vive nel mondo occidentale una analoga situazione, accumunata dalla sconfitta. Eppure in altre parti della terra la chiesa fiorisce: la Cina, per quando abbia una situazione complicata, manifesta una vitalità straordinaria e lo stesso si può dire della Corea dove abbondano i cristiani e pure dell’Africa, anche se questa vede una islamizzazione accelerata.E in Europa?In Europa siamo male, siamo a una storia crepuscolare. Direi che la situazione non è troppo diversa dal primo cristianesimo, quando Paolo andando nell’areopago di Atene vide un’ara al Dio sconosciuto e colse l’occasione per l’annuncio. Questo è il tempo del fare, dell’annunciare in Europa un Dio che non si conosce quasi più, il Dio della Bibbia.Esprimo un parere personale: la freschezza dell’annuncio cristiano si è molto annacquata. Per questo ho osato un titolo coraggioso, arrogante è stato anche definito. A mio parere la Chiesa parla dei poveri, degli ultimi, dei migranti, predica le opere che dobbiamo fare, ma non parla di Dio. Il discorso su Dio oggi è declinato tutto sull’altro, sul prossimo. Cosa buona, ma scordiamo che Gesù ha dato due comandamenti d’amore: uno è per Dio, l’altro per il prossimo. Sono da tenere entrambi presenti. Invece oggi Dio è presupposto, è una ipotesi alle spalle non la meta del nostro cammino; noi non lo mettiamo davanti.Se il Dio della Bibbia si rivela e parla, crea e cerca l’uomo, oggi di fronte alla nostra “distrazione” non potrebbe farsi sentire?Ma Dio ha parlato! La sua parola è stata detta. Poi la sua parola è stata anche incarnata in Gesù. Ma se per noi oggi Gesù diventa un uomo senza volto, allora restiamo nell’assenza di Dio.Guardi, se c’è un silenzio di Dio è quello di chi ha già detto tutto quello che aveva da dire, ha fatto tutto quello che aveva da fare. Ha mandato perfino suo Figlio a vivere la nostra umanità: è Gesù l’ultimo Adamo. Più di così doveva fare? Gesù, Dio incarnato nell’umanità, ci salva con la sua morte come con la sua vita. E’ Gesù la parola definitiva di Dio. Io non ho il coraggio di chiedere a Dio altro. Certo, al contempo, è vero che poi nel percorso di ciascuno di noi qui si innesta il salto nella fede.Cos’è la fede?Una cosa strana, un mistero assoluto e profondo non diverso da Dio, dal suo carattere nascosto e non evidente. Se uno mi chiede: Tu credi? Io rispondo sì. Se uno mi chiede: perché? Io rispondo non lo so. Non ho prove ma credo, credo senza evidenze.Lei scrive che la Bibbia non dimostra l’esistenza di Dio. La “prova provata” non avrebbe reso più facile credere?E’ vero che manca la prova assoluta ma non so se servirebbe. Gesù è stato visto ma non creduto da tutti. L’uomo per credere deve morire, morire nella ragione, nel suo io. Questo decentramento da sé non piace all’uomo che si sente invece protagonista e centrale nella sua vita. La fede è descritta bene da un principio che fa dire a Lutero: la nostra teologia è certa, perché pone noi fuori di noi e ci trasferisce tutti in Cristo.Ha parlato della ragione, ma c’è pure quella fisica alla quale lei ha dedicato un paio di libri. Uno si intitola: “Che cosa accade quando si muore?”. Bella domanda e la risposta?Quando si muore si entra nella dimensione divina: io credo questo. L’al di là è Dio, non c’è altro da dire. E’ un qualcosa che ci sfugge completamente, è inimmaginabile.Abbiamo una parabola della morte che è il sonno: nel Nuovo Testamento i primi cristiani non dicono che qualcuno è morto ma che dorme nel Signore. Ogni risveglio al mattino è una piccola resurrezione: ciascuno durante il sonno non sa più nulla di sè, non si sente dormire. Ma la mattina si recupera tutto: chi siamo, il proprio nome, cosa si deve fare, si recupera la memoria di sé. La traccia di Dio nell’uomo è la memoria. Se non sappiamo esattamente cosa sia la morte possiamo dire, io credo, che assomigli al sonno. Distinguerei comunque il morire dalla morte. Il morire è un processo doloroso e con una sua durata (eccetto l’infarto), dovuta al fatto che il principio vitale che è in noi vuole vivere. La morte invece non credo che sia penosa: è un sonno. Quando muori entri nello spazio di Dio. Altro non è dato sapere.Nel libro parla della resurrezione di Cristo e lo fa prendendo a riferimento il Risorto come appare in una xilografia di Albert Durer. Siamo a Pasqua: cos’è la Resurrezione?Se devo usare un’immagine dico che la risurrezione è luce. Un corpo risorto è un corpo di luce così diverso dal nostro attuale che, pur essendo capolavoro di Dio, è invece opaco, non emana luce come invece le stelle. Il nostro corpo terreno è bello, fino a splendido, ma non manda luce.Aggiungo, ed è fondamentale: un corpo risorto è sottratto alle leggi del corpo fisico. Un astronauta in un’intervista ha dichiarato che nello spazio, grazie all’assenza di gravità, ha sperimentato la sensazione straordinaria dell’assenza del corpo e galleggiando ha potuto rendersi conto più facilmente dell’anima. La trovo una intuizione straordinaria.Sempre riguardo la resurrezione: Paolo nella prima lettera ai Corinzi parlando della condizione ultima futura usa l’espressione “Dio sarà tutto in tutti”. Accomuna cioè tutti gli uomini in Dio. Ma al contempo non sarà un indistinto di anime: ogni goccia nel mare (che è Dio) non si annulla in lui ma mantiene la sua individualità. Nel mare di Dio io resterò la goccia Paolo.Lei ha usato un titolo coraggioso “Dio”, ma chiude con una preghiera con cui chiede perdono: “Signore pietà delle mie povere parole con le quali ho cercato di parlare di te”. Perché?Ci sono due ragioni. La prima: perché solo Dio può parlare bene di Dio. È la Scrittura quella che parla bene di Dio. Le mie pagine sono un balbettìo, un tentativo. La preghiera dice che io ho cercato di parlare bene di Dio. Lei dice coraggio, io ho avvertito piuttosto la necessità di scrivere del Dio biblico in un mondo e una chiesa che parlano poco di Dio, o che lo citano solo nella liturgia. Oggi siamo fermi, fissi sulle opere. Allora io dico: guardiamo cosa ha fatto Gesù. Seguiamo il suo esempio: lui ha fatto diaconìa dalla mattina alla sera; ha guarito, liberato, sanato… ma non ne parlava mai. Ha guarito senza dire: adesso vieni con me. Non ha messo l’opera al centro, neanche la sua. Al centro ha messo l’annuncio del Regno di Dio vicino.La seconda ragione: la preghiera finale ha pure un altro significato: dopo aver parlato tanto di Dio, avevo bisogno di parlare a Dio.Simonetta Venturin