Incontro Trump-Putin. Ferrara (diplomatico): “Ben venga il tentativo ma avrebbe dovuto essere più sobrio”

Trump e Putin in Alaska (foto Ansa/Sir)

“Da quando esiste il flagello della guerra la pace la si fa necessariamente con il nemico, o con l’avversario, quindi ben venga questo tentativo diplomatico, che però avrebbe potuto essere certamente più sobrio e meno entusiasta verso Putin di quanto Trump invece abbia dimostrato di volergli concedere in diretta televisiva mondiale”. Parte da qui, da questa primissima considerazione, Pasquale Ferrara, ex ambasciatore e docente di Politica internazionale, al quale il Sir ha chiesto di analizzare l’incontro di ieri sera as Anchorage, in Alaska, tra il presidente Usa Donald Trump e il presidente russo Vladimir Putin per arrivare ad una trattativa di pace con l’Ucraina. Il vertice però alla fine si è concluso con “generiche e ottimistiche dichiarazioni unilaterali”. In una veloce conferenza stampa senza domande, i due presidenti hanno menzionato a “molti punti concordati”, ma non hanno annunciato nessun accordo, tanto meno il cessate il fuoco in Ucraina.

(Foto Istituto universitario Sophia)

Ferrara, che impressione le ha fatto ieri vedere Trump e Putin ad Anchorage? Tra strette di mano, tappeti rossi, passaggio in macchina, come le sono sembrati i due leader? Si può parlare di “momento storico”?
Cominciamo con il mettere in luce il lato positivo di questo incontro, che è certamente possibile definire come storico, anzitutto per il fatto stesso che ci sia stato, dopo un lungo periodo di incomunicabilità tra Stati Uniti e Russia, dovuto all’aggressività di Putin non solo in Europa, ma anche su altri versanti (pensiamo alla Siria al sostegno ad Haftar in Libia).Tuttavia, è ancora troppo presto per ritenerlo storico per quanto concerne i contenuti, che non sono ancora noti, ma che probabilmente assomigliano assai più ad una lista di questioni su cui negoziare piuttosto che ad un’ipotesi di soluzione per l’Ucraina.Intanto, mai come in questo caso, il cerimoniale è apparso sostanziale, più che meramente protocollare, e mi pare che abbia contribuito a dare l’impressione che ad Anchorage il capo del Cremlino, con l’aiuto di Trump, sia uscito dall’isolamento decretato nei suoi confronti dal mondo euroatlantico (ma non certo nel sud globale), dopo l’aggressione all’Ucraina del 2022.

Tre ore di colloquio e conferenza stampa di 12 minuti senza neanche dare possibilità ai giornalisti di fare domande. Alla fine, non c’è stato nessun accordo. Hanno parlato di progressi e punti discussi ma non hanno detto quali… È stato solo un grande show in diretta mondiale?

Io penso che in una situazione così grave, come il conflitto lanciato dalla Russia contro l’Ucraina, si può sicuramente ritenere un progresso il fatto che si sia creato un tavolo di trattativa, che ha consentito quantomeno, spero, di delineare il perimetro di un possibile accordo e di enucleare le questioni più impervie. Tra esse spiccano certamente il destino dei territori ucraini ad oggi sotto occupazione dell’esercito di Mosca, la libertà dell’Ucraina di determinare le sue future alleanze, la capacità del Paese di poter disporre di un sistema di difesa efficace ed efficiente, senza che ciò abbia naturalmente intenti aggressivi.In questa fase è estremamente rischioso però fare annunci che potrebbero rivelarsi senza costrutto, e questo spiega una conferenza stampa che è consistita in realtà in due generiche e ottimistiche dichiarazioni unilaterali.

“Kiev e l’Europa non ostacolino i progressi che stanno emergendo”, ha detto Putin. Come si può pensare di fare un accordo di pace senza i diretti interessati? Come interpretare questa frase?

Anzitutto, la fisica ci insegna che un tavolo non può stare in piedi solo con due gambe, ce ne vogliono almeno tre, e l’Ucraina è la terza gamba che manca. Un tavolo davvero stabile è quello che sta solidamente su quattro gambe, e qui manca l’Europa.Trump ha annunciato di voler proporre nuove sessioni con la partecipazione dell’Ucraina mentre è stato più vago sulla presenza europea, dichiarando che per il momento che avrebbe informato la Nato e i leader europei. È stato scomodato il paragone con Yalta, con la spartizione dell’Europa in sfere di influenza tra Unione Sovietica e mondo occidentale (guidato dagli Stati Uniti) verso la fine della Seconda Guerra mondiale. È però un parallelo improprio, non siamo alla fine di una guerra mondiale ed anche la guerra fredda è ormai un fatto storico. Penso sia più appropriato parlare di una nuova fase della stabilità strategica tra due superpotenze nucleari, in cui interviene tuttavia un terzo incomodo, la Cina, che è stata, in qualche modo, l’elefante nella stanza di Anchorage. Un altro elemento importante della posta in gioco in questo negoziato è infatti, per Washington, tentare di impedire o ritardare il consolidarsi di una vera e propria alleanza a tutto campo tra Russia e Cina. Insomma, è una partita giocata su più tavoli.

“Next time in Moscow”, è stato l’invito di Putin a Trump. Insomma, come proseguirà questo processo?

Difficile predire gli sviluppi futuri, tranne che con ogni probabilità ci saranno altri incontri, la cui consistenza dipenderà anche dalle reazioni dell’Ucraina e degli europei agli schemi di intesa. Io penso che sia Trump sia Putin abbiano un interesse oggettivo e prominente a fare in modo che il processo vada avanti, ma non sono sicuro che gli obiettivi di Mosca e di Washington coincidano, tranne che per il fatto che entrambe le superpotenze intendono rimarcare la loro posizione egemonica in ogni scenario di pace, o quanto meno di cessazione delle ostilità in Ucraina. Ogni tentativo esterno di scalfire questo schema esclusivo rischia di essere percepito come un’interferenza, come un ostacolo, e questo vale anzitutto per gli europei. Una prospettiva che risponde certamente alla posizione di lunga data di Mosca, ma che non dispiace neanche a Trump, se dobbiamo giudicare dalle sue dichiarazioni, tese a relativizzare il ruolo europeo.Si dice in certi ambienti diplomatici che sia comunque meglio avere una pace imperfetta che la continuazione della guerra, ma una pace imperfetta non implica che dobbiamo accettare una pace palesemente ingiusta.