Suor Rita Panzarin e “il miracolo” di Sembè

Cinquant’anni fa suor Rita Panzarin, allora neanche trentenne, metteva piede in Africa e da quel momento quel continente è divenuta la sua terra di elezione.
La Madre Generale delle Suore Francescane Missionarie del Sacro Cuore, raccogliendo il desiderio della giovane suor Rita la inviava in Camerun.
Dopo venti anni di vita missionaria a Yaoundè arriva dal Vescovo di Ouesso, in Congo Brazzaville, la richiesta di mandare delle suore nella lontana e impenetrabile Sembè. Lontana sia dalla capitale che dal vicino Camerun, base delle Francescane Missionarie nell’Africa equatoriale.
Impenetrabile perché in assenza di qualsiasi collegamento, solo facendosi largo nella foresta, costruendo varchi e ponti dove i mezzi fuoristrada potessero avanzare, era possibile superare la parte più interna dei 1.200 km che separano Sembè da Yaoundè.
Il primo incontro con questo ambiente è scoraggiante, la giungla ha la meglio sulla volontà e il coraggio delle due suore (con suor Rita c’è suor Carla) e devono rientrare a Ouesso, dove il Vescovo chiede loro: “E Sembè?”. Altri prima delle due suore erano stati in quello sperduto posto, senza tuttavia resistere a lungo, solo la volontà del Vescovo locale e le sue insistenze con la Madre Generale riescono in quello che sarà poi chiamato “il miracolo di Sembè”.
Un mese dopo, era il gennaio del 1995, meglio attrezzate per il viaggio, suor Rita e suor Carla, assieme ad una consorella camerunese, percorrono il lungo e impervio tragitto.
“L’accoglienza ci fece dimenticare i disagi – ricorda suor Rita – e davanti alle popolazioni della foresta convinte che anche noi non saremmo rimaste, chiedemmo loro cosa si aspettassero da noi. «Che ci insegnate a pregare come voi», fu la loro risposta. Davanti a questo comprendemmo che lì si trovava il senso della nostra missione”.
Così risponde oggi suor Rita, alla vigilia del suo ennesimo rientro in Congo, alla domanda su quale sia il risultato di cui essere oggi più contenta ripensando ai suoi 50 anni di vita di missione in Africa. “Perchè – aggiunge – abbiamo sperimentato di fronte all’estrema povertà di quei popoli lontani e dimenticati il bisogno della nostra presenza. E oggi che molti di loro hanno studiato, grazie alle nostre scuole, e sono diventati insegnanti, medici, infermieri… In grado di aiutare la loro stessa gente per noi questo è il più grande risultato.
Grande gioia ci ha dato anche la visita del nostro Vescovo Giuseppe, nel gennaio scorso, che ha conosciuto il nostro impegno e condiviso l’esperienza della vita e della fede in questi luoghi”.
Nei momenti di difficoltà e di scoramento a che cosa si è aggrappata con più decisione?
“A Sembè si è in prima linea, persino i medici di Brazzaville rimanevano stupiti dalle condizioni dei pigmei della foresta, per noi si trattava di dare loro futuro e dignità.
I momenti veramente difficili in questi anni di Africa sono stati agli inizi quando ho preso la malaria, poi quando sono stata morsa da un serpente, ma anche quando si parlava di toglierci da Sembè.
Ecco in questi frangenti mi sono rivolta «a mio marito», Tu ci hai chiamato, allora metti sul nostro cammino i mezzi per restare e continuare la nostra missione”. Sul loro cammino il Signore ha messo, ad esempio, il primo prete che accettò di restare nella parrocchia di Sembè, don Armel, e che sempre è stato ed è vicino a questa realtà, dapprima come vescovo di Ouesso e oggi come arcivescovo metropolita di Owando, sempre in Congo Brazzaville.
Missione che vive grazie a molteplici forme di aiuto e di sostegno che arrivano da più parti, in modo particolare quando si è trattato di dare avvio alle scuole (ora sono tre) e all’ospedale.
Chi sono i vostri benefattori?
“Noi viviamo grazie a mille mani messe assieme. Dall’Italia, con l’associazione Via Pacis, di Riva del Garda, con Missione Tau che raccoglie donazioni e offerte per questo e per altri posti nel mondo in cui ci sono le suore Francescane Missionarie, con la Caritas Antoniana di Padova, con l’associazione Cuore Amico di Brescia; in Svizzera una mano di aiuto importante arriva dal Gruppo Lavoro Africa di Anita, la missionaria volontaria che è con noi dagli inizi. E poi tanti aiuti che gli amici delle nostre parrocchie e della diocesi fanno arrivare e contribuiscono ieri a mettere in piedi i nostri progetti e oggi a mantenerli. Tutti questi aiuti ci permettono di dare continuità al nostro impegno per l’educazione e la cura. Ad esempio ora abbiamo necessità di digitalizzare la radiologia; poi dovremmo sostituire l’automezzo senza il quale non possiamo raggiungere i nostri malati e trasportarli al nostro ospedale; infine dovremmo dotare il nostro impianto fotovoltaico di batterie a litio”.
Oggi si parla molto dell’Africa e dei cambiamenti globali da cui è attraversata, dal suo osservatorio quale futuro vede per i popoli di questo continente?

“Io conosco due posti, non l’Africa, tuttavia in questi decenni ho visto i passi avanti fatti, come i ragazzi della nostra missione che hanno studiato e ora sono in grado di svolgere delle professioni, il futuro di Sembè appartiene ai 500 bambini che oggi frequentano le nostre scuole. Anche le nostre suore africane hanno tante potenzialità e questo ci dà fiducia, perché c’è ancora tanto lavoro da fare”
Suor Rita, il suo passato e il suo presente sono in Africa. E il suo futuro?
“Non credo che farò altri 30 anni a Sembè. In ogni caso, se non sarò in grado di continuare come adesso ho già prenotato un posto a Yaoundè, dove abbiamo una struttura che accoglie le suore anziane e malate, oppure a Gemona, dove vi è un’analoga struttura”.
Infine, quale messaggio desidera lasciare ai suoi amici di qui prima di ripartire?
“Esprimere il nostro grazie per il sostegno che ci date. Senza il quale non si sarebbe avverato tutto questo e su cui continuiamo a contare per poter tenere fede al nostro impegno e non tradire coloro per i quali la missione di Sembè con le sue opere è il solo punto di riferimento”.
Ada Toffolon