Sperimentare il Giubileo

E’ l’anno del giubileo, che si può vivere in alcune chiese e santuari diocesani come pure in talune parrocchiali in particolari frangenti. Ma c’è anche chi ha la volontà e la possibilità di compiere un pellegrinaggio giubilare a Roma. La grazia che se ne riceve è la stessa ma l’esperienza diversa: nel secondo caso si allarga per la forza dei grandi numeri e delle tante presenze di fedeli.

I grandi eventi, quelli delle moltitudini da centinaia di migliaia di persone che si stipano in piazza San Pietro, comportano una scomodità che solo chi vive comprende, ma donano la grazia di essere testimoni di una realtà che altrimenti sfugge e che, una volta sperimentata, rincuora e consola, accendendo nuovi entusiasmi e ravvivando quelli intrappolati nell’affannosa quotidianità.

Genti di ogni latitudine, straniere per volti, lingue e abiti, si ritrovano insieme, fianco a fianco, nel nome dell’Invisibile che tutti ha convocato lì, ad uno ad uno. Questa pluralità di singoli – uniti dal medesimo desiderio di un Infinito, di senso e significato e da una fede condivisa – coinvolge in qualcosa che l’ordinario non possiede.

Quel che può capitare di vivere è vedere negli occhi del vicino la gioia dei propri occhi, nell’esultanza degli altri l’esultanza del proprio cuore e, in qualche modo, sperimentare il mondo come potrebbe essere, come sarebbe bello che fosse e come, purtroppo, non è. Eppure capita che, sia pur per il tempo sospeso di una veglia e di una celebrazione, quel mondo di pace e fraternità tanto invocate si manifesti, esista davvero. Percepirlo è lampo di rivelazione.

Quel che può capitare di vivere è una fraternità gentile, assente dalle cronache dove la guerra è fratricida, l’economia si muove bramosa di guadagni, la politica percorre le strade del tornaconto, gli omicidi e i femminicidi srotolano elenchi di lutti brutali, allontanando l’uomo dalla bellezza e dalla grandezza cui pure è chiamato.

Vivere il giubileo può far sperimentare che c’è un luogo dove le storture del mondo si fanno brusio di sottofondo; un luogo dove convergono i passi di migliaia di persone, dove preghiere e canti si alzano in coro, dove i pellegrini si passano di gruppo in gruppo le croci giubilari, fino a giungere alla medesima porta santa; dove migliaia di persone vivono le medesime fatiche nell’attesa del santo padre, provando al suo arrivo la medesima esultanza bambina, quasi che al suo apparire sussurrasse a ciascuno: “La tua fede non è vana”.

Ma è anche vero che non basta aver sentito, pur consapevoli che ci sono esperienze che raccontate rischiano di svilirsi, quasi che le umane parole non siano sufficienti a restituire un vissuto tanto intenso da non poter essere circoscritto – contenuto – nei limiti delle consuete esperienze. Non solo: rendere manifesto quanto di più intimo un pellegrinaggio giubilare può far provare espone ad un doppio rischio: la vuota retorica da una parte, il giudizio altrui dall’altra. Ed esporsi intimorisce.

Ciò che però conta, ed è buona cosa condividere, è che l’esperienza di fraternità orante non solo è possibile ma è pure ristoratrice e gioiosamente appagante. Ancora: che quella speranza a cui papa Francesco ha dedicato il giubileo 2025 si può respirare tra le braccia allargate di quel colonnato cui già più volte anche papa Leone XIV ha fatto riferimento. Quelle braccia che accolgono chiunque si è messo in viaggio verso l’infinito e il suo sfuggente mistero e lì qualcosa ha trovato perché lì lo aspettava un altro volto della famiglia umana: una, affratellata, festosamente in pace nel nome dell’Unico che tutti ha chiamato.

E’ tra quelle colonne che ogni singolo si fa noi, come in un mosaico che fonde le diversità delle tessere in un unico disegno senza che le tessere perdano la propria unicità.

E’ tra quelle braccia che il sogno e forse l’utopia della famiglia umana si fa miracolosamente sperimentabile, tangibile. E da quella piazza può far ritorno con noi, fino alle nostre case e continuare nella misura in cui ciascuno si farà dispensatore del bene provato, dei sorrisi ricevuti, degli incontri di gentilezza data e avuta.

Ma se lasciassimo tutti quei doni ricevuti tra le braccia generose del colonnato, ai volontari che guidano migliaia di pellegrini, rispondendo per ore, migliaia di volte, alle stesse domande senza perdere il sorriso, se lasciassimo lì tutto, come un regalo dimenticato sotto la sedia, allora sì che il vivere l’esperienza giubilare sarebbe stato vano, come un viaggio emozionale dentro lo spettacolo della fede.

Vano verso se stessi: perché incapace di andare oltre le fatiche provate, ginnastica che stanca le gambe ma non rafforza lo spirito

Vano verso il mondo: perché se ciascuna delle tante persone che nei grandi eventi di piazza san Pietro potessero farsi motore del bene ricevuto allora qualcosa potrebbe cominciare a cambiare.

Alla veglia di Pentecoste, lo scorso sabato 7 giugno, Giubileo dei Movimenti e associazioni, papa Leone lo ha ricordato alla piazza gremita ed esultante: ciascuno è lievito della piccola porzione di pasta dove si trova a vivere nella propria diocesi, nella propria parrocchia. Tutti diversi e tutti con un’unica missione che unisce e affratella: nel nome di una pace che è impegno e che resta unica condivisa speranza.