Domenica 11 maggio, commento di don Renato De Zan

11.05.2025. 4° domenica di Pasqua

Gv 10,27-30

In quel tempo, Gesù disse: 27 «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. 28 Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. 29 Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. 30 Io e il Padre siamo una cosa sola».

Le mie pecore non andranno perdute in eterno

Il Testo

1. Il testo della formula è una piccola parte (Gv 10,27-30) di una pericope biblica più estesa (Gv 10,22-39) che ha come tema l’identità di Gesù e la contestazione violenta (volevano lapidarlo e catturarlo) dei Giudei. Gesù accusa i Giudei di non far parte delle sue pecore (Gv 10,26). Adoperando un linguaggio figurato, preso da Isaia e da Ezechiele per i quali Dio è il pastore e Israele il gregge delle sue pecore, Gesù si identifica come il pastore (lo aveva fatto esplicitamente poco prima, in Gv 10,11) e i suoi discepoli come le pecore. Egli è Dio e i suoi discepoli il nuovo popolo. Le pecore di Gesù (i discepoli, di allora e di oggi) hanno determinate caratteristiche: lo ascoltano e lo seguono, mentre i Giudei non credono in Gesù. Questa opposizione (ascoltare e seguire / non credere) diventerà chiara più avanti. La Liturgia ha dovuto collocare un incipit consistente (“In quel tempo, Gesù disse”), avendo tolto il brano da un contesto complesso.

2. La formula evangelica si divide in due parti. La prima (Gv 10,27-28a), che potremmo intitolare “il legame tra Gesù e le pecore”, è caratterizzata da un’alternanza (v. 27a: le mie pecore / v. 27v.: io / v. 27c: esse / v. 28a: io) che produce una struttura parallelistica (a-b-a’-b’). Si avrà pertanto un legame stretto tra le pecore che “ascoltano” e Gesù che “fa esperienza con loro – le conosce”. Esiste un rapporto stretto tra le pecore che lo seguono e Gesù che dona loro la vita terna. Nella seconda parte (Gv 28b-30), che potremmo intitolare “la salvezza eterna delle pecore”, c’è una struttura concentrica dove il segmento /a./ annuncia un futuro felice per le pecore (“non andranno perdute”), il segmento centrale /b./ offre la doppia motivazione: “Nessuno le strapperà dalla mia mano / nessuno può strapparle dalla mano del Padre mio”. Infine, il segmento /a’./ spiega il valore equivalente del punto b. (“Io e il Padre siamo una cosa sola”). Il testo della formula Gv 10,27-30, breve e apparentemente semplice, è invece complesso ed elaborato.

L’Esegesi

1. Il rapporto tra Gesù e le sue pecore è caratterizzato da due fattori, che indicano chiaramente come la salvezza e la vita eterna siano una realtà sinergica, compiuta cioè da due protagonisti: le pecore e Gesù (Gv 10,27-28a). Da una parte, infatti, c’è un impegno delle pecore, che viene espresso dai due verbi “akùo – ascoltare” e “akoluthèo-seguire”. Dall’altra c’è un impegno di Gesù, espresso dai verbi “ghignòsko-conoscere” e “dìdomi zoèn aiònion-dare la vita eterna”. C’è anche da dire che questo paziente lavorio è accompagnato da una certezza rasserenante (Gv 10,28b-30): “Non andranno perdute in eterno” perché “Nessuno – è importante sottolinearlo – le strapperà dalla mia mano….può strapparle dalla mani del Padre mio”.

2. I verbi che indicano l’impegno delle pecore sembrano di facile comprensione. Sono, invece, un po’ elaborati: ascoltare e seguire. Sull’ascolto c’è da dire che nel Medio Oriente antico si ascoltava con le orecchie e con gli occhi (cf Ne 1,6: “Sia il tuo orecchio attento, i tuoi occhi aperti per ascoltare la preghiera del tuo servo”). La “voce” di Gesù, dunque, si esprimeva con le parole e con le azioni. Il discepolo è chiamato ad “ascoltare” parole e azioni. Nella mentalità semitica “ascoltare” implicava quattro passaggi fondamentali: udire, capire, memorizzare, sentire. I primi tre passaggi sono facilmente comprensibili. L’ultimo, invece, coinvolge sia la sensibilità sia la mentalità. Avviene con pazienza.

3. Il verbo “seguire” è intuitivamente comprensibile. Il discepolo è chiamato a “apprendere” il Maestro (“Come ho fatto io, fate anche voi; amatevi come io vi ho amati; imparate da me che sono mite e umile di cuore”) e di conseguenza seguire il Maestro equivale a imitarlo, progressivamente, senza perdersi d’animo, senza stancarsi. Il discepolo è consapevole di essere stato scelto dal Maestro (Gv 15,16: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi”) e di essere suo amico (Gv 15,13: “Vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi”). Questo dà forza al discepolo perché non si scoraggi nel cammino dell’imitazione, cioè della sequela.

4. Il concetto appena espresso viene sintetizzato da Giovanni dall’espressione “credere verso di Lui”. Gesù risponde a tale fede con la ferma volontà di far fare esperienza di Lui al discepolo (tale è il significato semitico di “conoscere”) e di non perderlo in eterno. Gesù assicura il discepolo: “Nessuno può strappare il discepolo dalla mie mani e da quelle del Padre mio”. La tematica è stata espressa dal Maestro anche con altre parole: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16) oppure “E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno” (Gv 6,39).

Il Contesto celebrativo.

Gv 10,27-30, in dialogo con At 13,14.43-52 (prima lettura) evidenzia come la proposta di Dio possa essere respinta dall’uomo. Questo rifiuto equivale al rifiuto della vita eterna. Il testo degli Atti, infatti, narra come  i Giudei di Antiochia di Pisidia respinsero la parola di Dio offerta loro da Paolo e Barnaba. Paolo, di fronte  a questo rifiuto affermò: “Poiché la [= Parola di Dio] respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco noi ci rivolgiamo ai pagani”. L’ascolto della Parola equivale, dunque, ad accogliere la vita eterna. Questa è la tematica sottintesa dall’affermazione di Gesù “Le mie pecore ascoltano la mia voce.