Papa Francesco: immagini e profezie

Se racchiudere la vita di un uomo in poche righe è sempre un’impresa, farlo con quella di un papa significa costringersi a un ritratto per cenni, qualche titolo di documenti, un elenco di viaggi, qualche frase, frammenti di ricordi intrappolati tra mente e cuore. Con papa Francesco ce ne sono stati davvero tanti di intensi e straordinari, arricchiti dalle tante sue tante prime volte: il nome scelto, il primo saluto con l’inaspettato “Buonasera”, il pensiero rivolto subito al papa emerito con il quale ha condiviso un’enciclica a due mani (la “Lumen fidei”) e vissuto la domenica dei quattro papi, il 27 aprile 2014, quando sono stati canonizzati San Giovanni XXIII e San Giovanni Paolo II, la prima volta di un papa che celebra le esequie al suo predecessore, la prima volta di Porte Sante in Africa (Bangui). E poi le sue rinunce: alla mozzetta e alle scarpe rosse, alla croce e anello d’oro, all’appartamento papale in Vaticano cui preferì uno in Santa Marta, alle grotte vaticane per la sepoltura preparata da tempo in Santa Maria Maggiore, all’esposizione della salma sul catafalco (sarà deposto nella bara), alle foto dall’ospedale nell’ultimo lungo ricovero in ospedale. Potremmo continuare a lungo ricordando le sue intuizioni, l’accoglienza non giudicante, i ruoli dati alle donne, la lotta alla pedofilia nella chiesa. Dovendo comunque fissare il suo ministero in alcune istantanee ne scegliamo quattro.
La prima l’8 luglio 2013, cinque mesi dopo l’elezione papale, lo ritrae a Lampedusa: approdo di migranti e spiaggia di naufragi. Francesco su quel mare, che da culla di civiltà si è andato trasformando in un’immensa tomba, lanciò una ghirlanda di fiori, rivolgendo a tutti e a ciascuno di noi una domanda dalla difficile risposta: “Caino, dov’è tuo fratello?”. Aveva profetizzato la “globalizzazione dell’indifferenza”: il trattamento dei migranti in varie parti del mondo lo testimonia.
La seconda è del 27 marzo 2020: papa Francesco è solo, in una Roma buia e deserta, mentre il mondo vive l’isolamento della pandemia e sperimenta la paura delle tante morti che si succedono. In quel vuoto e in quel timore condivisi, dopo la messa quotidiana in tv da santa Marta – punto di riferimento in mesi di chiese chiuse –, Francesco inventa quel momento unico, nel quale implora la guarigione davanti al vecchio crocifisso miracoloso di San Marcello al Corso in Roma e all’icona mariana della Salus popoli romani. Lui, un punto bianco nella notte scura di pioggia e di vento, immerso nella preghiera, voce nel silenzio interrotto solo dalle sirene delle ambulanze – echi di quelle di tante altre città -, quella sera ha preso tutti sulle sue spalle, vero padre dell’umanità ferita, indicando la via: “Siamo tutti chiamati a remare insieme, siamo tutti nella stessa barca. Nessuno si salva da solo”. Altra profezia: contro le guerre e le catastrofi da cambiamento climatico non c’è che la fratellanza.
La terza è quella dei ripetuti appelli alla pace in occasione dell’angelus domenicale: la martoriata Ucraina diventata ritornello poco ascoltato, la denuncia dei troppi morti civili, dei bambini di Gaza e di quelli ucraini rapiti, dei tanti conflitti dimenticati (Sudan, Myanmar, Congo, Yemen, Siria). Se dovessimo affidare a un disegno il ricordo di Francesco lo ritrarremmo come una colomba della pace che vola sul mondo spalancando le sue ali per proteggerlo da quella follia degli uomini chiamata guerra. “Terza mondiale a pezzettini” è stata un’altra delle sue intuizioni che non dimenticheremo: ce la ricorda la tragica attualità dei nostri giorni.
Infine, la quarta immagine: il papa della gente e tra la gente. Lo ha fatto ripetutamente, anche nella settimana santa, comparendo a sorpresa tra i pellegrini in San Pietro, perfino col poncio argentino senza la veste papale, i naselli dell’ossigeno, la sedia a rotelle a cui eravamo ormai abituati. Lo ha fatto anche il giorno di Pasqua e, solo adesso che non c’è più, sappiamo che lo ha voluto fare fino all’ultimo, senza forze e senza voce, ci ha voluti lasciare immersi nella sua benedizione urbi et orbi del giorno di resurrezione.
Se di Giovanni Paolo II ricordiamo il vigore del suo “Non abbiate paura!”, di Francesco tratteniamo la misericordia, a cui dedicò un anno giubilare straordinario; l’attenzione alle periferie geografiche, che raggiunse in molti viaggi (le isole Egadi, l’Iraq, la Corsica, la Mongolia e l’ultimo lunghissimo viaggio in medio Oriente) e quelle umane, degli ultimi e degli esclusi, come carcerati (incontrati giovedì santo), poveri e anziani (con cui condivise pranzi e per i quali istituì Giornate speciali introdotte nel calendario liturgico). Tutte azioni tese al superamento di quella che condannava come la “cultura dello scarto”.
Tra i tanti scritti ne ricordiamo uno dal valore universale: come il poverello d’Assisi cantò le creature così papa Francesco ha regalato ad un mondo – che dieci anni dopo l’ha poco recepita – l’enciclica “Laudato Sì”, testo di fede e di scienza che segnala l’urgenza di prendersi cura della casa comune e di chi la abita.
Ci ha lasciati a neanche metà di questo anno giubilare che lui ha voluto dedicare alla speranza. “Spera” è anche il titolo dell’ultima autobiografia che, destinata ad uscire postuma, è invece stata pubblicata a gennaio di quest’anno. In questi momenti di smarrimento e nostalgia profonda, troviamo nelle parole con cui ha scelto di chiudere questo libro lo stile da dare ai nostri passi senza lui: “Non è debolezza la tenerezza; è vera forza. E’ la strada che hanno percorso gli uomini e le donne più forti e coraggiosi (…) Percorriamola, lottiamo con tenerezza e con coraggio. Percorretela, lottate con tenerezza e con coraggio. Io sono solo un passo”.