25 Aprile a Pordenone: patrono della città e inaugurazione del restaurato campanile di San Marco

25 aprile 2024: in occasione del Patrono della città, San Marco, prima della solenne celebrazione eucaristica del Vescovo, S.E. Pellegrini (leggi il pontificale), alle ore 10.15 inaugurazione del restaurato campanile della concattedrale, presenti il Vescovo stesso, mons. Orioldo Marson parroco della concattedrale, autorità, e una grande folla di pordenonesi nel giorno di festa per eccellenza per Pordenone (foto di MLGA)

Omelia festa del patrono san Marco, Concattedrale Duomo di San Marco Pordenone, 25 aprile 2024

Carissimi,

la festa del patrono della città di Pordenone, san Marco, ispiri in tutti noi pensieri di amore, di fiducia e di pace, aiutandoci a vincere la paura e lo scoraggiamento per i troppi conflitti, anche vicini a noi, che insanguinano il mondo e che speravamo oramai non più possibili. È una festa che ci aiuta ad avere uno sguardo più ampio sulla realtà che supera la comunità cristiana e si apre a tutta la comunità sociale e istituzionale del nostro territorio, dell’Italia, dell’Europa e del mondo. Infatti, la celebrazione del 25 Aprile è una data simbolica con cui si vuole ricordare la liberazione dell’Italia alla fine della Seconda guerra mondiale. Un saluto cordiale e carico di affetto, a tutti voi presenti e ai rappresentanti delle istituzioni civili e militari. La comunità cristiana di Pordenone celebra la festa del patrono, affidandosi alla sua testimonianza e al Vangelo che ci ha tramandato. Nella pagina appena proclamata, Gesù, prima di salire al cielo invia i discepoli a portare nel mondo la sua Parola di salvezza: “Andate in tutto il mondo e proclamate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvato” (Marco 16,15-16) perché tutta l’umanità, guidata dall’amore e dalla misericordia di Dio, ritrovi la gioia e la bellezza del vivere insieme, del rispetto reciproco, superando barriere e individualismi, per formare un mondo più bello e più giusto, dove regni la solidarietà, l’amore e la pace.L’evangelista Marco, nella prima lettera di Pietro appena ascoltata, è chiamato dall’apostolo “figlio mio” (5,13), e probabilmente il suo Vangelo risente della predicazione di Pietro. Giovanni, detto anche Marco, era cugino di Barnaba, che accompagnò insieme a Paolo, nel primo viaggio missionario a Cipro. A Roma si incontrò con Pietro, diventandone fedele interprete e mettendo per iscritto la sua predicazione, cercando di dare una risposta all’interrogativo chi è veramente Gesù di Nazareth, con le parole del centurione: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio” (Marco 15,39). È il servo sofferente in cui è nascosta la gloria del Figlio di Dio, morto e risorto per la salvezza dell’umanità. Concludendo il suo Vangelo, più volte Marco sottolinea l’incredulità dei discepoli e la durezza del loro cuore, la sclerocardia, perché non avevano creduto a chi aveva visto Gesù risorto. Nella santa Messa del Crisma, papa Francesco ci ha ricordato che “la compunzione – quella puntura benefica che brucia dentro il nostro cuore e guarisce – è l’antidoto alla sclerocardia, quella durezza del cuore tanto denunciata da Gesù. Il cuore, infatti, senza pentimento e pianto si irrigidisce … indifferente ai problemi e indifferente alle persone”. Ma nonostante tutto, Gesù si fida dei discepoli e li invia nel mondo a portare il suo Vangelo, a parlare di Lui, chiedendo di essere testimoni. Questo sarà possibile solamente se i discepoli avranno fede e crederanno in lui. La missione affidata ai discepoli è universale, in tutto il mondo, ad ogni creatura, dappertutto. Ciascuna persona, dovunque sia e a qualsiasi razza appartenga, ha il diritto di sentire l’annuncio del Vangelo. Non esistono i vicini e i lontani, i primi e gli ultimi, gli amici e gli stranieri. L’annuncio deve sempre avvenire nel suo nome e nell’accoglienza di chi annuncia.

Aiutati dalla testimonianza dell’evangelista Marco e dalle parole di Gesù che ci invita ad andare, senza paura, con un atteggiamento di amore, di solidarietà e di apertura e con il cuore rinvigorito dal dono dello Spirito Santo, anche tutti noi, come comunità cristiana e civile, desideriamo prendere sul serio e impegnarci per la costruzione di un mondo e di una società più attenta e rispettosa degli altri. Infatti, in questo tempo non facile per nessuno e nemmeno per le istituzioni sociale e politiche del nostro paese, abbiamo bisogno di ritrovare la passione e l’impegno per la politica, per il bene comune e per la giustizia. Viviamo in tempi sotto il segno del disorientamento, dell’incertezza e del timore, segnati da una profonda crisi economica, sociale e valoriale, dalla pandemia, dalla violenza del terrorismo e delle guerre alle porte dell’Europa. Ma sono, pure, tempi di fatica e di paura della relazione con l’altro e con il diverso da noi. A risentirne di più è il dialogo e il confronto sereno tra le forze politiche, che spesso litigano, dimenticandosi del bene comune e della giustizia. È auspicabile pensare la politica non come scontro o gioco a chi grida più forte, ma come incontro e dialogo, pur faticoso, nella comune passione per il bene di tutti. Sogniamo una politica come amicizia civica! Insegna il Concilio Vaticano II: “Per instaurare una vita politica veramente umana, non c’è niente di meglio che coltivare il senso interiore della giustizia, dell’amore e del servizio al bene comune e rafforzare le convinzioni fondamentali sulla vera natura della comunità politica e sul fine, sul buon esercizio e sui limiti di competenza dell’autorità pubblica” (Gaudium et Spes, 73). E al n. 75: “La Chiesa stima degna di lode e di considerazione l’opera di coloro che, per servire gli uomini, si dedicano al bene della cosa pubblica e assumono il peso delle relative responsabilità”. Fra poco in Italia e nell’Europa saremo chiamati a importanti scelte elettorali. Queste occasioni siano di aiuto a ritrovare il sogno e la visione dei padri fondatori dell’Italia a dell’Europa che volevano una società fondata sulla libertà e sulla dignità di ogni persona; sull’inclusività che non esclude nessuno e sulla solidarietà dei più disagiati. Aspetti che affondano le radici nel pensiero cristiano e nello stile di Gesù che ha fatto della sua vita un dono per tutti.Anche noi, come cittadini e come credenti non possiamo rimane spettatori che dal balcone osservano lo scorrere della vita, ma essere testimoni e annunciatori con scelte concrete di un umanesimo e di una fede che abitino la vita reale e concreta delle persone. Una di queste scelte possiamo attuarla subito e insieme: lottare e fare memoria contro l’indifferenza che porta sovente a non guardare l’altro, a passare oltre senza considerarlo e senza cercare di capirlo e anche ad astenersi dall’impegno pubblico e dalle scelte elettorali. Questo richiama l’impegno a ricordare, a tessere l’intreccio delle esperienze umane nel tempo e a tener presente le possibilità di curare l’avvenire, di aprire al futuro e di sperare nella vita nuova, per i singoli e per la collettività. L’indifferenza conduce alla perdita di sé e allo smarrimento del gusto e dell’esperienza della vita. L’opposto dell’amore non è l’odio, è l’indifferenza. L’opposto della pace non è la guerra ma l’indifferenza alla guerra

Buona Festa

S.E. Mons Giuseppe Pellegrini