Chiesa
La lavanda dei piedi e la Cena: i due volti del Giovedì santo

Il Giovedì santo è la giornata dedicata alla vita sacerdotale; viene celebrata la messa crismale o “messa degli oli”, in cui tutti i sacerdoti rinnovano le promesse fatte nel giorno della loro ordinazione e vengono consacrati gli oli santi: il crisma, l’olio dei catecumeni e l’olio degli infermi, portati davanti all’altare, dentro tre anfore. Nel crisma vengono anche versate sostanze profumate.
Nell’ultima messa crismale che ho concelebrato con i sacerdoti della diocesi di Roma, nel 2019, Papa Francesco ci ha esortato a “toccare le ferite delle persone”, donandosi, non cercando la propria comodità, e stando in mezzo alla gente: “… noi non siamo distributori di olio. Siamo unti per ungere. Ungiamo sporcandoci le mani toccando le ferite, i peccati, le angustie della gente…”.
L’altro momento è la messa “in coena Domini”, il ricordo specifico della cena di Gesù con i discepoli, quando dà a loro la consegna più importante: “Fate questo in memoria di me”. Fate cosa? Tante cose. Anzitutto “spezzate il pane e condividetelo”. Gesù promette solennemente che ogni volta che un sacerdote avrebbe posto quel gesto, come ha fatto lui, quel pane sarebbe diventato il suo corpo, quel vino sarebbe diventato il suo sangue. Ha quindi garantito nel tempo, nella storia, nella vita di ciascuno e dell’intera umanità, una presenza vera, reale, sacramentale. Queste parole manifestano con chiarezza l’intenzione di Cristo: sotto le specie del pane e del vino, egli si rende presente in modo reale col suo corpo donato e col suo sangue versato quale sacrificio della nuova alleanza. Al tempo stesso, egli costituisce gli apostoli e i loro successori ministri di questo sacramento, che consegna alla sua Chiesa come prova suprema del suo amore.
L’evangelista Giovanni ha scelto di raccontare la lavanda dei piedi invece dell’istituzione della Cena, sottolineando così l’aspetto esistenziale dell’eucaristia che si attualizza in ogni cristiano in amore-servizio del fratello. L’aspetto sacramentale e l’aspetto esistenziale dell’ultima cena non possono essere separati.
Il Giovedì santo resta, per la nostra vocazione sacerdotale, un giorno di fondamentale importanza e di grande provocazione.
Il mondo ha bisogno di vedere in noi coerenza e bontà: gli uomini e le donne di oggi hanno diritto di vedere in noi sacerdoti l’umiltà e l’impegno al servizio fino alla fine, simili a quelli di Gesù. Non possiamo predicare il Vangelo, portare avanti le nostre pastorali senza passione, senza amore; la gente se ne accorge se noi facciamo le cose per amore o per mestiere; non possiamo annunciare Gesù se non siamo appassionati di lui. Dobbiamo essere credibili, anche se non completi e continuamente alle prese col dilemma tra il nostro essere, paolinamente, “vaso di coccio” e il “tesoro” di grazia di cui siamo ministri (2Cor 4,7; cf. Mt 13,44). Dobbiamo essere segno del Trascendente, pur essendo immersi nelle esperienze quotidiane di tutti gli uomini. Uomini che stanno in contatto continuo col loro Dio, ma senza mai interrompere la piena esperienza della condizione umana.