Domenica 23 marzo, commento di don Renato De Zan

Lc 13,1-9

1 In quel tempo si presentarono alcuni a riferirgli il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. 2 Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? 3 No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. 4 O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? 5 No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». 6 Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. 7 Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. 8 Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. 9 Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

Padrone, lascialo ancora quest’anno

Il Testo

1. Il testo biblico e la formula liturgica di Lc 13,1-9 sono pressoché identici. La Liturgia toglie il discorso di Gesù sulla conversione dalla contemporaneità (“In quello stesso tempo…”) con le parole del Maestro circa il dovere dei cristiani di saper leggere i segni dei tempi (Lc 12,54-59). Il testo biblico originale di Lc 13,1-9, infatti, inizia con queste parole: “In quello stesso tempo…”. La formula liturgia cancella l’aggettivo dimostrativo (identificativo) “stesso” e dice semplicemente: “In quel tempo…”.

2. La formula evangelica si può suddividere in tre parti. In Lc 13,1-2a c’è l’antefatto dei Galilei uccisi da Pilato. Segue la doppia risposta (riflessione) di Gesù (Lc 13,2b-5) scandita dalla ripetizione della domanda (a = v. 2 e a’ = v. 4: “Credete che…fossero più peccatori…?”) e dell’invito pressante (b = v.3 e b’ = v.5: “No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”). Conclude il testo (Lc 13,6-9) l’insegnamento sul fico.

L’Esegesi

1. Sappiamo che Pilato aveva una certa allergia nei confronti degli Ebrei e l’episodio di Lc 13,1-2b si inserisce in questo tratto del carattere del governatore. Il giudizio dei ben pensanti era chiaro: quelle persone per aver perso la vita sono state castigate da Dio e perciò dovevano essere persone peccatrici. Avrebbero dovuto convertirsi. Diversamente, Dio non castiga coloro che non sono peccatori e, perciò, costoro non hanno bisogno di convertirsi. Gesù pone fine a questa mentalità. I Galilei uccisi da Erode e i diciotto uccisi dal crollo della torre di Siloe non erano più peccatori degli ascoltatori del Maestro. I vivi non dovevano pensare di non aver bisogno di conversione perché non erano stati “castigati” con la morte come gli altri. L’appello alla conversione, dunque, è un appello imprescindibile per tutti. Non cogliere l’appello equivale a firmare la propria condanna (“se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”).

2. La conversione di cui parla Gesù non è un atto episodico, ma un atteggiamento continuo che dura tutta la vita. Sappiamo che la conversione non è il cambio di “giudizio”: oggi reputo male ciò che ieri pensavo fosse bene. La conversione è un “cambio globale di pensare la realtà”, abbandonando la propria mentalità e assumendo la mentalità di Gesù. Per questo motivo la conversione consiste in un lavorio interiore che mira ad assumere progressivamente il modo con cui il Maestro giudicava, decideva e agiva:  “convertitevi, credendo a me per mezzo del vangelo” (cf Mc 1,15). La fonte primaria della conversione è il Vangelo (non l’Imitazione di Cristo o le Confessioni di Agostino o Il poema dell’uomo-Dio, testi che possono aver un loro valore, ma che non sono “parola di Dio” come il vangelo).

3. L’insegnamento della “parabola” del fico – di per sé è un racconto esemplare – pone un problema chiaro. Non c’è tanto tempo davanti: è necessario convertirsi subito. Non è, poi, lecito rimandare la conversione “a domani”. Il tempo di conversione è quello presente. Dio, come il padrone della vigna con il fico improduttivo, aveva deciso di agire in modo sfavorevole contro l’umanità. L’intercessione di Gesù presso il Padre, come il vignaiolo presso il padrone, ha allungato il tempo della misericordia di Dio. Dietro a questa intercessione c’è il pensiero del Maestro: “E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno” (Gv 6,39). Non cogliere questo dono equivale a svalutare ciò che Cristo ha fatto per noi e bisognerebbe chiedersi se, a questo punto, uno può dirsi cristiano.

Il Contesto Liturgico

1. La presenza di Dio (cf 1° lettura: Es 3,1-8a.13-15) nella storia del suo popolo ha prodotto continui momenti di salvezza, nonostante gli atteggiamenti di peccato degli Ebrei. L’invito alla conversione fatto da Gesù non cade, dunque, tutto sulle nude spalle dell’uomo. L’uomo sa di potere contare sulla provvidente presenza di Dio e sulla forza della sua Parola (cf 2° lettura: 1Cor 10,1-6.10-12), che è stata attiva non solo in passato, ma lo è anche nel presente (“Tutte queste cose però accaddero a loro come esempio, e sono state scritte per ammonimento nostro”).

2. Nella petizione della Colletta propria, la Liturgia valorizza la storia: “Concedi ai tuoi fedeli di riconoscere nelle vicende della storia il tuo invito alla conversione”. Il credente oltre a prestare attenzione alla Parola (“se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”) è chiamato a prestare attenzione al vissuto perché Dio chiama alla conversione anche attraverso le vicende della vita.