“Percorsi di filosofia della pena”: il 5 in Seminario

Che cos’è e a cosa serve la pena? Mai come oggi si è tanto parlato – grazie soprattutto alla televisione – di processi penali e di pene inflitte o negate, dove ciascuno pretenderebbe che la pena nel singolo caso fosse quella da lui voluta, e dove spesso il movente ispiratore è soltanto lo spirito di vendetta. Mai però abbiamo sentito in televisione qualcuno che ci abbia detto che cos’è la pena in generale, quali sono i suoi fini, e mai come oggi, quindi, c’è stato bisogno di chiarezza, di riaffermazione di principi generali che costituiscano una solida base di giudizio su una problematica difficile e delicata.
A queste esigenze di chiarezza ha provveduto Gianfranco Maglio con il suo recente libro Percorsi di filosofia della pena, edito dalla Wolters Kluwer – Cedam, che l’autore presenterà a Pordenone il 5 dicembre alle 18 nell’aula Blu del Seminario diocesano in una conversazione con Antonio Lazzàro (già presidente del Tribunale di Pordenone, autore della prefazione) e don Maurizio Girolami (preside della Facoltà Teologica del Triveneto).
Di altri libri di Maglio, che è portogruarese, professore universitario di filosofia del diritto e avvocato, abbiamo dato negli anni scorsi notizia in queste pagine, e qui ci limitiamo a ricordare i libri sul pensiero filosofico e teologico di Dante, che egli, da cultore della storia della filosofia medioevale, ha esposto fornendo una visione più completa di Dante, considerato di solito un grande poeta e basta.
Questo libro sulla pena rivela la formazione sia giuridica che filosofica dell’autore. Anch’esso, come tutte le opere di Maglio, è scritto in modo agevole alla lettura per lo stile chiaro e scorrevole, che nulla toglie, e anzi meglio pone in evidenza la profondità del suo pensiero. Di esso dobbiamo limitarci a dare solo rapide e sommarie informazioni.
Anzitutto esso è preceduto da una bella Prefazione del dott. Antonio Lazzàro ed è diviso in cinque capitoli. Nei primi tre l’autore espone, rispettivamente, le diverse concezioni filosofiche sulla pena, facendone anche la storia e ricordando i diversi giuristi e filosofi che se ne occuparono: la concezione retributiva (dare male per male), la concezione emendativa (la pena deve servire a migliorare il reo e a riportarlo sulla retta via, la “rieducazione del condannato” di cui parla l’art. 27 della Costituzione), la concezione riparativa, oggi vista con favore anche da recenti provvedimenti legislativi (Riforma Cartabia). Precisa l’autore che la riparazione va intesa in “un significato fondamentalmente etico e certo non si risolve in una mera composizione economica”. In realtà, tali finalità sono comunque sempre presenti nell’irrogazione della pena, e se la riparazione non è possibile per una contraria volontà del condannato, resta sempre valida la finalità retributiva.
Negli ultimi due capitoli (“La pena in una prospettiva personalistica” e “La pena quale «segno di contraddizione»”) Maglio espone poi in modo articolato il suo pensiero, e va sottolineato come questo si sviluppi sulla base dei principi religiosi che stanno alla base della sua filosofia. In estrema sintesi si può dire che per Maglio la o le finalità della pena vanno viste in una prospettiva personalistica, secondo un orientamento di pensiero già presente anche in altri suoi libri, e non in una prospettiva meramente individualistica e sorretta da una visione dell’uomo sostanzialmente teso alla propria promozione e autoconservazione.
Il concetto base – ci dice Maglio – è quello di persona: la persona è aperta agli altri, ha natura sociale e vive di relazioni: il reato infrange questo mondo di relazioni in cui la persona è immersa.
La pena va vista, allora, come mezzo per ripristinare queste relazioni spezzate, e in questo senso la concezione riparativa è quella che meglio si adegua a questa filosofia della pena. E’ così possibile, osserva Maglio, elaborare una dottrina filosofica della pena, capace di operare “come strumento di giustizia e, allo stesso tempo, percorso di riconciliazione personale”.
Un cenno merita anche il capitolo sulla struttura formale della pena (p. 123 ss.) dove l’autore illustra i principi formali elaborati “nell’ottica della difesa del reo e tenendo conto del senso sociale di giustizia”: il principio di certezza, il principio di storicità, il principio di colpevolezza, il principio di proporzione. Questi brevi cenni necessariamente omettono di considerare la ricchezza di argomenti che il libro presenta anche sul valore del perdono, del pentimento, della misericordia, ed anche sui riflessi che le previsioni di sanzioni penali possono avere sulla struttura dell’ordinamento penale (Maglio critica l’eccessiva penalizzazione dei comportamenti sociali), così come su altri argomenti. Né possiamo soffermarci sulle profonde considerazioni in merito alla pena di morte e alla pena dell’ergastolo. Qui non possiamo far altro che invitare alla lettura del libro: ne vale la pena.
Pompeo Pitter