Hind, la voce di Gaza

Displaced Palestinians flee Gaza City towards the southern areas of the Gaza Strip, in Nuseirat, on August 28, 2025, as the war between Israel and the Hamas militants movement continues. The Israeli military pressed operations around Gaza City on as US President Donald Trump hosted a meeting on post-war plans for the shattered Palestinian territory. (Photo by Eyad BABA / AFP) AFP - Sir

Hind, la voce di Gaza

Simonetta Venturin

La voce di Gaza è quella di Hind, una bimba di non ancora sei anni, che non abbiamo salvato. I suoi ripetuti “Salvami” saranno lì a ricordarci l’impotente inettitudine di politica e istituzioni, la nostra infruttuosa e tratti indifferente libertà. “La voce di Hind Rajab” è anche un docu-film portato alla Mostra del Cinema di Venezia il 3 settembre. Regista è la franco tunisina Kaouther Ben Hania: a lei gli operatori della Mezzaluna rossa (la Croce Rossa) hanno affidato la registrazione di una lunga telefonata risalente al 29 gennaio 2024. Nell’audio di settanta minuti si sentono prima una ragazza, poi una bambina chiedere aiuto.

I fatti: la prima a chiamare per un’ambulanza è Liyan, quindicenne intrappolata in auto con la famiglia mentre cercano di fuggire da Gaza. Un carrarmato israeliano li ha colpiti: sono morti i suoi genitori e altri tre familiari. Lei è ferita, sua cugina Hind di cinque anni pure. Chiede soccorso, ma la voce si fa via via debole: poi la telefonata passa a Hind. Gli operatori della Mezzaluna non mollano la piccola mentre cercano di fare arrivare un’ambulanza in quella zona di guerra presidiata dall’esercito. Hind terrorizzata supplica per quindici volte “Salvami”. Sente altri carrarmati avvicinarsi. I momenti sono concitati. Anche l’ambulanza inviata viene colpita: i due paramedici muoiono.

Di fronte al fallimento dell’impresa la disperazione è tutta degli operatori, preda di un’impotenza che si fa rabbia e non li lascia finché non arrivano alla regista, inviandole l’audio. Anche la regista non trova pace dopo l’ascolto: il tormento cresce come un magma fino all’idea: dare voce ad Hind e a chi cerca di portare aiuto a rischio della propria vita.

La regista ha realizzato un docu-film, unendo l’audio originale della lunga telefonata a delle immagini vere di Gaza e ad altre girate in Tunisia con attori che interpretano gli operatori: la loro frustrazione – il senso di profonda depressione e sconfitta di fronte a difficoltà insormontabili – è al centro della narrazione. La loro impotenza è anche quella provata oggi da molte persone a varie latitudini: la stessa che rende increduli di fronte al massacro nella Striscia come agli ostaggi israeliani scheletriti, esibiti come scudi umani da Hamas. La brutalità non ha passaporto.

“Non ho alcun potere politico – ha dichiarato la regista al Festival-. Non sono un’attivista. Semplicemente ho sentito di dover fare qualcosa con questo strumento che padroneggio un po’, il cinema, per non essere complice”. Un sentimento condiviso: agire non per bandiera ma come umanità che vuole salvare un’altra umanità sorella.

La Mostra del Cinema, dove il film ha ricevuto 25 minuti di applausi e il Leone d’argento, è stata chiusa dal video appello del patriarca Pizzaballa da Gerusalemme: un invito ai credenti e al mondo della cultura a cercare un linguaggio diverso da quello dell’odio che circola insanabile tra le due parti in causa, un linguaggio disarmato “che possa poi arrivare anche alla società e alla politica”.

Intanto “The voice oh Hind” è candidato all’Oscar tunisino, correrà come miglior film straniero agli Oscar di Los Angeles 2026 e ha meritato il premio Croce Rossa Italiana perché “ha saputo dare voce a chi non ne ha più”.

A Gaza, come nelle fosse comuni di Bucha in Ucraina, si scrivono le pagine nere della nostra storia: ma la storia non ferisce e non uccide, uccidono gli uomini. Ora, una donna ha raccolto la voce di Hind, l’ha raccontata e divulgata e Hidin arriverà in tutti i luoghi dove il film verrà distribuito. Ora, azioni di sostegno come cortei, appelli, raccolte firme, una Flottilla umanitaria e altre ancora che verranno, per quanto simboliche, hanno e avranno la funzione di ricordare una volta in più che là si muore e che queste stragi debbono aver fine.

Prima della realizzazione del film la regista ha parlato con Rana, la madre di Hidin, che è ancora nella Striscia insieme al figlio più piccolo, e che aveva affidato la bambina agli zii in fuga, sperando di salvarla. La madre ha dato il consenso anche se il film non ha potuto vederlo, ma solo ascoltarlo in parte al telefono. Così la voce della sua Hind camminerà per il mondo: se le persone non possono sentire le voci degli altri diciottomila bambini uccisi a Gaza (dati Unicef del 18 agosto), possono ascoltare Hind, assurta a simbolo della tragedia. Come ha spiegato la regista: tradizioni diverse, popoli lontani per visioni e stili di vita non sempre riescono a entrare in contatto, a capirsi, ma il cinema può questo: non solo raccontare storie ma anche creare empatia e così allargare la capacità di comprensione di chi guarda.

L’unico e ultimo doveroso dono che possiamo fare a Hind è ascoltare davvero la sua voce. Mentre lo faremo, accolti da comode poltrone di velluto nei nostri cinema, pensiamo a quel che resta della sua famiglia che rischia ogni ora sotto le bombe in un’invivibile Gaza mentre l’occupazione avanza e la volontà di pace tra i contendenti si allontana tra nuove rivalse. Mentre lo faremo pensiamo che Hind è solo una tra le migliaia di bambini, vittime innocenti delle guerre degli adulti.