L'editoriale
Un errore di guerra

Un errore di guerra
Simonetta Venturin
Anche l’oasi della parrocchia cristiana della Sacra Famiglia in Gaza è stata colpita: crollato il tetto della chiesa, dieci i feriti, tre i morti. Il presidente israeliano Netanyahu – assente alla cerimonia di inizio pontificato dello scorso maggio – ha prontamente chiamato papa Leone XIV, invitandolo in Israele e identificando l’accaduto come un errore. Un errore di guerra, però. Perché un errore di pace non abbatte chiese, non spara dai carri armati, non ha soldati che battono il territorio palmo a palmo, non provoca oltre 80mila morti e chissà quanti feriti, non affama la popolazione e tanto meno spara sui civili che aspettano in fila un sacco di farina.
Nell’ora di colloquio papa Leone ha chiesto di “rilanciare l’azione negoziale per giungere a un cessate il fuoco e alla fine della guerra”. All’angelus di domenica 20 luglio ha rilanciato l’appello: “Chiedo nuovamente che si fermi subito la barbarie della guerra e che si raggiunga una risoluzione pacifica del conflitto”, ribadendo esplicitamente “il divieto di punizione collettiva, di uso indiscriminato della forza e di spostamento forzato della popolazione”.
Alla sua voce se ne sono poi aggiunte altre, come quella ferma e coraggiosa dei patriarchi di Gerusalemme – il cardinale Giambattista Pizzaballa, Patriarca dei latini, e il patriarca greco ortodosso Teofilo III – che il giorno dopo l’attentato del 17 luglio sono entrati in Gaza per portare conforto, solidarietà e tonnellate di aiuti alla comunità colpita. Una presenza tra i vicoli distrutti e all’ospedale da campo che ha per certi versi rievocato quella di Pio XII a braccia spalancate tra le macerie del quartiere San Lorenzo in Roma, dopo i bombardamenti americani. Era il 19 luglio del 1943: 82 anni dopo il nostro mondo di uomini non ha smesso di offrire immagini di civili morti, città rase al suolo, sacerdoti e religiosi – uomini senza mitra e giubbotti antiproiettile – che accorrono dai superstiti. Intervistato tra le rovine, il card. Pizzaballa ha dichiarato: “Questa guerra è una tragedia assurda e ingiustificabile”.
Dopo la visita, in un comunicato congiunto i due patriarchi si sono espressi in modo molto fermo definendo un “crimine” quanto accaduto: “I luoghi di culto sono spazi sacri che devono essere protetti. Sono inoltre protetti dal diritto internazionale. Prendere di mira una chiesa che ospita circa 600 rifugiati, tra cui bambini con bisogni speciali, è una violazione di queste leggi. È anche un affronto alla dignità umana, un calpestamento della sacralità della vita umana e una profanazione di un luogo sacro (…) Denunciamo fermamente questo crimine”. Hanno quindi chiesto ai leader mondiali e all’Onu di adoperarsi per il cessate il fuoco in Gaza.
Anche il card. Pietro Parolin, Segretario di Stato Vaticano, intervistato dalla Rai ha parlato chiaramente di “limiti superati” e di una guerra dagli “sviluppi drammatici” e ormai “senza limiti”, che va fermata in tutti i modi. Di più: si è chiesto “se è stato veramente un errore, cosa di cui si può legittimamente dubitare” o se c’è stata “una volontà di colpire una chiesa cristiana sapendo quanto i cristiani sono un elemento di moderazione nel Medio Oriente”.
Papa Leone ha nuovamente manifestato la disponibilità del Vaticano ad accogliere i colloqui per le trattative di pace ma, come ha dichiarato Parolin: “Ci vuole volontà politica per finire la guerra”.
Il cessate il fuoco è quanto mai urgente: è urgente dagli appelli di papa Francesco e non solo adesso che è stata colpita la parrocchia cristiana divenuta simbolo della resistenza e dell’accoglienza. Una parrocchia guidata da quel padre Romanelli, pure ferito, che ogni sera alle 19 veniva chiamato da Francesco preoccupato per quell’isola intatta in mezzo all’inferno dei bombardamenti.
Anche padre Ibrahim Faltas, vicario per la Custodia di Terrasanta, come gli altri religiosi che vivono da vicino la situazione, è stato netto e inequivocabile: “Gaza non ha più tempo. Non ce la fa più. La situazione è devastante. Gaza è rasa al suolo” (Avvenire, sabato 18 luglio).
Questo cessate il fuoco è atteso da quando la guerra è scoppiata, perché in guerra non c’è giorno senza lacrime, distruzione e morte. Porvi fine è drammaticamente urgente, invece tregue e accordi si annunciano ma non si attuano e l’odio seminato per chissà per quanto continuerà a germogliare.