Diocesi
Ordinazione sacerdotale di don Riccardo e don Marco, sabato 7 giugno. Omelia di S.E. Pellegrini “Siate preti gioiosi, entrate con fiducia nel presbiterio, riceverete molto e donerete molto di più”

È grande la gioia della nostra Chiesa di Concordia-Pordenone, nella vigilia della Pentecoste, compimento della Pasqua e memoriale del dono dello Spirito Santo, per questi due suoi figli Riccardo e Marco, che diventano Presbiteri per la Chiesa e per tutta l’umanità. Vi saluto con affetto e riconoscenza insieme ai vostri genitori, familiari, amici e comunità parrocchiali. Saluto pure i presbiteri delle vostre parrocchie e del seminario, i professori e i seminaristi che hanno camminato con voi e che vi hanno accompagnato in questi anni.
Il Libro degli Atti degli Apostoli ci ha guidato nel tempo pasquale e ci ha aiutato a rileggere e fare nostro il cammino delle prime comunità cristiane. Un cammino che, a partire dal martirio di Stefano, la Parola, uscita da Gerusalemme, ha intrapreso attraverso un processo inarrestabile di annuncio e di evangelizzazione universale. Il brano odierno vede protagonista Pietro che nella casa del pagano Cornelio, cambiando nettamente prospettiva, dopo aver affermato “che Dio non fa preferenza di persone” (Atti 10,34), annuncia ai pagani la salvezza che si è compiuta in Gesù. L’evento di Gesù di Nazareth si era sviluppato anche geograficamente dentro i limiti della storia del popolo di Israele: “Noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme” (10,39). A partire dalla risurrezione di Gesù, il mandato è di annunciare che “chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo nome” (v.43). La Parola di salvezza è offerta da ora anche ai pagani che si dispongono a credere. Pietro in casa di Cornelio è chiamato a riformulare l’annuncio di Gesù, ripensando alla condizione culturale-religiosa dei pagani. Questo è il cammino che anche noi, come comunità cristiane e presbiteri siamo chiamati a intraprendere: l’inculturazione della fede nella nostra modernità, con un ripensamento e un rinnovamento dell’annuncio, proclamando la bellezza e la novità del risorto, vivente e presente oggi, capace di offrire senso e salvezza alle attese, alle ricerche ed esperienze degli uomini e delle donne del nostro tempo, soprattutto alle giovani generazioni.
Il Vangelo che la liturgia ci propone è tratto dai discorsi di addio di Gesù nell’ultima cena. Sono discorsi già illuminati dalla luce pasquale, che annunciano il compimento della Pasqua con la venuta dello Spirito. Al centro della rivelazione di Gesù troviamo il significato vero della sua relazione con i discepoli: “Non vi chiamo più servi … ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi” (Giovanni 15,15). L’invio in missione dei discepoli e della Chiesa nasce da questa relazione intima con il Signore Gesù che fa entrare i discepoli nel fuoco dell’amore divino: “Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi” (v.9). Infatti, l’amore del Padre nei confronti del Figlio e l’amore del Figlio nei confronti del Padre si prolungano nell’amore dei discepoli tra di loro: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amato” (v.12). È il comandamento nuovo che Gesù aveva ricordato nel capitolo 13: amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amato (cfr. v. 34). La forma che assume l’amore nel Vangelo di Giovanni è personale e diretta ai discepoli. L’amore è il segno dell’appartenenza a Cristo e fugge al ricatto della reciprocità verso di lui. Gesù, infatti, non dice come io vi ho amato, amate anche me, ma amatevi come io vi ho amati, rispondendo all’amore di Gesù con l’amore tra di noi. In questo modo Gesù ci fa capire che la misura dell’amore non è più solo nell’amare il prossimo come se stessi, ma nell’amare gli altri come Gesù ha amato noi. Un amore che libera dall’alienazione e conduce alla libertà che non è, però, una conquista bensì un dono: “Non voi avete scelto me ma io ho scelto voi” (15,16), diventando lo spazio in cui il credente può portare frutto. L’amore senza misura è la misura dell’amore, perché ‘il senza misura’ è esattamente la misura di Gesù. L’amore vero, infatti, non può essere quantificato né si misura in base a quello che si riceve, perché è un amore senza limiti e senza riserve!
Carissimi Riccardo e Marco, qui trovate il senso vero e il significato più profondo della vostra ordinazione presbiterale: rimanere nel suo amore per essere nel mondo segni viventi dell’amore di Dio. Non di un amore qualsiasi, solo umano, che nasce dal sentimento, chiuso e settario, ma dell’amore testimoniato da Gesù a ogni persona durante il suo ministero terreno e realizzato in modo esemplare sulla croce. Un triplice amore, grande e totale, verso Dio Padre, verso Gesù, che l’ha vissuto fino a dare la vita e verso tutti i fratelli e le sorelle, ricordando però che è un amare non solo personale e da vivere singolarmente, ma fraterno, testimoniato innanzitutto da confratelli che vivono l’amicizia e la fraternità presbiterale. Se manca anche uno solo di questi elementi, possiamo dire che vien meno il valore e il significato della vostra Ordinazione, perché non rappresentereste più lo stile e la vita del Signore Gesù, rischiando, così, di non agire “in persona Christi’ (L.G. 28 e P.O. 2), ma come piace a voi. Annunciare Gesù nel mondo di oggi: questo è il compito principale che la Chiesa vi affida. Ce lo ha ricordato papa Leone nell’omelia di inizio del suo ministero petrino dicendo: “Noi vogliamo dire al mondo, con umiltà e con gioia: guardate a Cristo! Avvicinatevi a Lui! Accogliete la sua Parola che illumina e consola! Ascoltate la sua proposta di amore per diventare la sua unica famiglia; nell’unico Cristo noi siamo uno”.
Non è facile ai nostri giorni ‘rimanere nel suo amore! Osservare i comandamenti e la legge non per essere giusti o per dovere, ma perché si vuole rimanere nell’amore di Dio che ama tutti indistintamente. Un amore che dall’Ordinazione presbiterale prende la forma dell’amicizia e della fraternità, passando dal rapporto servo-padrone al rapporto di amicizia che si alimenta di una conoscenza reciproca. Spendo una parola in più sull’amicizia che siete chiamati a testimoniare come ‘presbiterio’. Oggi entrate nel presbiterio della Diocesi di Concordia-Pordenone del quale tutti siamo stati chiamati dal Signore a farne parte. Non si diventa amici sparsi, ma formando un gruppo costituito, diciamo pure istituzionalizzato. La costituzione del gruppo dei Dodici è considerata come la condizione perché l’amicizia presbiterale porti un frutto durevole. Se dunque si è preti da soli il frutto non può essere durevole. Vediamo spesso che, quando siamo attaccati al consenso o al successo personale, le persone restano legate più alla nostra figura che a Gesù Cristo e alla Chiesa. I successi e gli insuccessi condivisi tolgono dal ripiegamento su di sé, guariscono dalla gelosia e dall’invidia e ci fanno crescere nel cammino presbiterale. Il segno più bello dell’amicizia e della fraternità tra preti è la gioia del donarsi che fa crescere il popolo di Dio facendolo entrare nella dinamica d’amore della Trinità.
Concludo con alcune parole di papa Leone. Vi invito, cari Riccardo e Marco a scolpirle nel vostro cuore e a farle diventare luce nel vostro servizio pastorale: “Questo è lo spirito missionario che deve animarci, senza chiuderci nel nostro piccolo gruppo né sentirci superiori al mondo; siamo chiamati a offrire a tutti l’amore di Dio perché si realizzi quell’unità che non annulla le differenze, ma valorizza la storia personale di ciascuno”. (Omelia Inizio Ministero Petrino, 18 maggio 2025).
Siate preti gioiosi, entrate con fiducia nel presbiterio, riceverete molto e donerete molto di più.
+ Giuseppe Pellegrini, vescovo