Commento al Vangelo
Domenica 8 giugno, Pentecoste, commento di don Renato De Zan

08.06.2025 – Pentecoste – C
Gv 14,15-16.23b-26
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: “15 Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; 16 e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre. 23 Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. 24 Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. 25 Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. 26 Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto”.
Il Padre vi darà un altro Paraclito
Il Testo
1. La seconda parte (Gv 14,1-31) del grande discorso giovanneo dell’ultima cena (Gv 13,12-17,26) è impostata sul dialogo. Interloquiscono con Gesù Tommaso (Gv 14,5), Filippo (Gv 14,8) e Giuda, non l’Iscariota (Gv 14,22). La formula evangelica scelta dalla Liturgia è tratta in parte dalla risposta che Gesù dà a Filippo (Gv 14,15-16) e in parte da quella che il Maestro dà a Giuda (Gv 14,23-26). Si tratta di un testo eclogadico perché vengono sottratti Gv 14,17-23a. Per farlo diventare formula liturgica, la Liturgia antepone al testo originale un incipit lungo, che manifesta mittente e destinatari (“In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli”), e pone, al posto della virgola, un punto fermo alla fine di Gv 14,16.
2. Il nuovo testo della formula evangelica si presenta con una sua struttura tripartita. Gv 14,15-16.23 è caratterizzato dalla sequenza (positiva o negativa) “amare + osservare + miei comandamenti / mia parola” (vv. 15.23.24), dai vocaboli Paràclito (v. 16) e Padre (vv. 16.23.24) e dal verbo mandare (v.24). Nella parte finale (Gv 14,26) ritroviamo i vocaboli Paràclito, Padre e in verbo mandare. Al centro (Gv 13,25) l’affermazione: “Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi”. Ci troviamo, pertanto di fronte a una struttura concentrica: a (Gv 14,15-16.23) / b (Gv 14,25) / a’ (Gv 14,26). È importante? Sì. Gesù sta per morire (Gv 14,25) e verrà lo Spirito (Gv 14,26) solo su coloro che lo amano, osservando i comandamenti e venendo inabitati dal Padre e dal Figlio.
L’Esegesi
1. Con la dicitura “osservare i comandamenti / la mia parola”, l’evangelista intendeva senz’altro ricordare ai suoi discepoli almeno tre cose importanti. La prima consiste nel tener presente che i comandamenti di Gesù sono due e ciò implica l’inabitazione di Dio nel credente: “Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato” (1Gv 3,23-24). La seconda, invece, riguarda la vita eterna: “Se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno” (Gv 8,51) e “Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore” (Gv 15,10). Infine, deve ricordare che l’osservanza dei comandamenti o della Parola di Gesù è una realtà che implica l’essere e il fare: “Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Mt 7,21). La volontà del Padre è fatta conoscere dalle parole di Gesù.
2. Perché Gesù promette ai suoi un “altro Paraclito”? Ricordiamo che nelle lingue antiche l’aggettivo indefinito “altro” può significare anche “secondo”. Gesù, dunque, promette un secondo Paraclito perché il primo è lui: “Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un Paràclito presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto” (1Gv 2,1). Il compito del Paraclito è molteplice: “Lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto”. Egli è il consolatore (altro significato del nome Paraclito), è colui che crea la familiarità con il Padre (cf Rm 8,15; Gal 4,6), è colui che dona i carismi e sostiene il cristiano nella sua confessione di fede: Gesù è il Kyrios (cf 1 Cor 12,1-11). Fra i tanti altri compiti ci sono anche questi altri due: lo Spirito inabita nel credente ed è garanzia della sua risurrezione perché è stato lo Spirito a far risorgere Gesù (Cf Rm 8,11: “E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi”).
Il Contesto celebrativo
1. La messa vespertina della vigilia ripropone una breve sintesi della storia della salvezza (come la notte della grande Veglia). Quando l’uomo volle farsi come Dio iniziò a non capire più il suo prossimo (Gen 11,1-9: torre di Babele). Dio, a tempo debito, scelse un popolo, lo liberò dalla schiavitù e lo fece diventare suo partner nell’alleanza (Es 19,3-8.16-20). Promise il suo Spirito come capace di ridare all’umanità la vita che aveva perduta (Ez 37,1-14) e capace di operare in ogni uomo (Gl 3,1-5): lo Spirito è il dono di Dio a tutti i credenti. Questo Spirito è il dono che Gesù farà agli uomini che credono in lui (vangelo: Gv 7,37-39)
2. Nella messa del giorno le promesse, sintetizzate nella messa della vigilia, diventano realtà. Nella prima lettura si narra la Pentecoste (At 2,1-11), modello di ogni dono dello Spirito. Si tratta di quello Spirito che dona unità al linguaggio umano, nel rispetto della pluralità delle culture, facendo esperimentare Dio come amico, presente nella vita di ognuno e guida sicura verso la salvezza. Lo Spirito effuso nei credenti, li inabita, li rende una cosa sola con Cristo, li costituisce figli di Dio e, soprattutto, li garantisce – come già visto a conclusione dell’esegesi – di essere fin da adesso partecipi della risurrezione di Cristo (Rm 8,8-17).