3 giugno 1985-2025: 40 anni di Sostentamento del clero e della legge n. 222/1985

“Oggi, dopo decenni, possiamo riconoscere quanto la riforma e la legge 222 dell’85 sia diventata un pilastro fondamentale del sostentamento ecclesiale, ma anche un simbolo di un cambiamento profondo che ha richiesto non solo coraggio ma una grande visione del futuro”. Lo ha affermato oggi pomeriggio mons. Luigi Testore, vescovo di Acqui e presidente dell’Istituto centrale per il Sostentamento del clero, intervenendo a Bologna al convegno nazionale “1985-2025 – Quarant’anni di sostentamento del clero: ieri, oggi e domani”, promosso dall’Icsc a quarant’anni dalla legge n. 222/1985 che ha riformato i rapporti tra Stato e Chiesa, superando il sistema della congrua e dei benefici ecclesiastici.
Parlando del card. Attilio Nicora, tra gli artefici di quella “vera e propria rivoluzione”, il vescovo ha condiviso alcuni ricordi personali per averlo avuto come docente quando studiava nel Seminario di Milano. Poi ne ha rammentato “il contributo alla riforma degli anni ‘80” che “fu decisivo in qualità di guida autorevole della Commissione paritetica incaricata di delineare il nuovo assetto normativo dei rapporti tra a Stato e Chiesa”. In quel “cambiamento epocale”, ha proseguito mons. Testore, Nicora “seppe farse interprete di un dialogo autentico, capace di convincere senza mai imporre”. Fu anche impegnato ad aiutare “i suoi confratelli vescovi a comprenderne appieno il valore storico di questa riforma”. La sua – ha continuato – era una “visione profonda e lungimirante”, nella convinzione che “c’è espressamente un valore pastorale nella corretta amministrazione dei beni”. Notando poi “come alcune preoccupazioni di allora siano valide anche oggi”, mons. Testore ha osservato che “non tutte le diocesi italiane hanno lavorato nello stesso modo nell’adempiere alle richieste; certo, tutte hanno costituito i loro Istituti diocesani, ma non tutte hanno provveduto altrettanto bene nel trasferimento dei beni secondo le indicazioni allora date dalla Cei. Molti Istituti hanno fatto fatica ad avere piena conoscenza del loro patrimonio in tempi ragionevoli e persino oggi, a quarant’anni di distanza, ci sono ancora situazioni complesse e non chiare dal punto di vista patrimoniale”.
Per mons. Testore, “quella che inizialmente poteva sembrare una semplice modifica del sistema di finanziamento della Chiesa in Italia si è rivelata una vera e propria rivoluzione, un passaggio storico che ha inciso non solo sul piano economico, ma anche su quello relazionale e culturale. L’intuizione di collegare la libertà del cittadino alla scelta di destinare una parte della propria imposta per il sostentamento della Chiesa, senza vincolare la scelta a specifiche imposizioni, ha rappresentato un atto di fiducia reciproca tra le istituzioni e i fedeli; non si trattava più solo di un supporto economico, ma di una rinnovata consapevolezza della partecipazione attiva dei laici alla vita ecclesiale e del loro ruolo nel sostenere la missione della Chiesa nel contesto sociale”. “La riforma dell’8xmille – ha evidenziato – non solo ha rafforzato il sostegno economico alla Chiesa, ma ha contribuito a consolidare un legame più stretto tra la Chiesa e la comunità civile. Questo nuovo rapporto fra Chiesa, Stato e cittadini continua a segnare la vita della nostra comunità ecclesiale e sociale; ogni anno milioni di italiani esprimono la loro scelta di destinare una parte delle loro imposte alla Chiesa in un atto che non è solo una decisione economica, ma è un atto di partecipazione e di fiducia verso un’istituzione che, attraverso il sistema dell’8xmille, è in grado di sostenere numerosi progetti di carità, di educazione, di conservazione dei beni artistici, di sostegno a famiglie e comunità”.

MONS: BATURI: UNA LEGGE SPARTIACQUE

“L’introduzione dell’attuale sistema di finanziamento della Chiesa cattolica, in particolare del sostentamento del clero, può essere e deve essere considerato un vero spartiacque”. Lo ha affermato oggi pomeriggio mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei, intervenendo a Bologna al convegno nazionale “1985-2025 – Quarant’anni di sostentamento del clero: ieri, oggi e domani”, promosso dall’Icsc a quarant’anni dalla legge n. 222/1985 che ha riformato i rapporti tra Stato e Chiesa, superando il sistema della congrua e dei benefici ecclesiastici.
L’allora mons. Nicora – ha ricordato il presule – scrisse che “C’è un prima e c’è un dopo”, “a cui – ha commentato – dobbiamo fare riferimento, perché questo caso emblematico di solidarietà realizzata attraverso lo strumento del diritto concordatario, presupponeva un determinato sistema e ha mirato a costituirne un altro, un sistema di solidarietà realizzato attraverso lo strumento concordatario, che per questo deve essere custodito”. Per Baturi, “il concreto funzionamento del finanziamento e del sostentamento del clero è una sorta di specchio in grado di riflettere l’autocomprensione della Chiesa, il suo rapporto con lo Stato, la sua posizione rispetto ai ministri e ai fedeli”. “Anche in questo settore dei rapporti con lo Stato – ha spiegato – è determinante il concetto di Chiesa che si assume e anche il tipo di figura concreta che la Chiesa vuole sviluppare nei rapporti con i propri ministri e i fedeli”. “Ma in modo speculare – ha proseguito –, lo stesso possiamo dire anche per lo Stato, perché il tema del finanziamento alla Chiesa, un termine un po’ improprio, è uno dei capitoli più delicati e controversi della sua politica da sempre, perché è intimamente connesso alla concreta figura dello Stato che si struttura e al modo in cui si realizzano i principi di laicità e rispetto della libertà religiosa”. Definendo “rivoluzione” ciò che successe 40 anni fa, il segretario generale della Cei ha rilevato che “il sistema attuato in Italia 40 anni fa è stato anche considerato interessante e adottato anche in altri contesti politici ed ecclesiali, soprattutto dopo l’89”. “Lo strumento concordatario – ha ricordato Baturi – è uno strumento di finanziamento della libertà religiosa, quindi della libertà religiosa in forma istituzionale e associata. Questo cambio di sistema è realizzato attraverso la stipulazione dell’accordo del 18 febbraio 1984 tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede, la cui firma concludeva un lavoro lungo e travagliato”, considerato che “anche nel mondo cattolico vi furono polemiche non da poco”. Ripercorrendo l’iter che portò al nuovo sistema, il segretario generale della Cei ha rammentato poi come quello messo in campo sia stato un impegno “tale che si giunge a dire che la Chiesa è pronta a rinunciare all’esercizio anche dei diritti legittimamente acquisiti, se il loro uso può far dubitare della sincerità della sua testimonianza o nuove circostanze suggeriscono altre modalità. Si passa su questi presupposti ad una revisione dei rapporti con lo Stato, che può essere detta il superamento dei ‘pacta unionis’ ai ‘pacta libertatis et cooperationis’, si passa da un patto di unità a un patto di cooperazione e di libertà”. “ L’ambizione dell’accordo dell’84 – ha proseguito – era quella di delineare proprio un assetto di reciproca libertà e di mutua cooperazione”. Rispetto al “sistema della congrua”, ha ricordato, la Cei era convinta che fosse il tempo di “voltare pagina e questo era del resto l’indirizzo chiaramente assunto dal Concilio Vaticano II”.