La sentenza che dice sì alle due mamme

La sentenza della Corte costituzionale n. 68 del 2025, che ha ritenuto illegittimo l’art. 8 della legge 40/2004 nella parte in cui impediva al nato da Pma eterologa effettuata all’estero da una coppia di donne il riconoscimento anche della madre intenzionale, “segna una svolta pericolosa e profondamente problematica per l’intero ordinamento giuridico e per la società”. E’ quanto si legge in una nota del network di oltre cento associazioni “Ditelo sui tetti”.
“Con questa decisione – sottolineano le associazioni – si apre la porta a un modello antropologico radicale e ideologico, in cui la sola volontà individuale assurge a fonte esclusiva delle relazioni familiari e dell’identità personale”. Si afferma “in modo implicito ma determinante (par. 5, in diritto) che l’intenzione, slegata da ogni realtà biologica, sociale o relazionale, possa fondare uno status giuridico così profondo come quello di genitore”, prosegue la nota. “La Corte, oltretutto, ribalta la logica giuridica (par. 6, in diritto) sostenendo che, poiché vi è cura e responsabilità verso il minore, deve esservi anche lo status di genitore. Ma è un’inversione illogica: la responsabilità – secondo le associazioni – è conseguenza della genitorialità giuridica, non sua causa. È la genitorialità che fonda il dovere, non il contrario”. Il figlio, sottolinea il network, “non è un diritto da progettare, ma un dono da accogliere. Il riconoscimento legale della ‘genitorialità intenzionale’ sgancia la genitorialità dalla carne e dal dono dell’altro, trasformandola in un auto riconoscimento narcisistico.”
Infine – osserva ancora la nota – “è motivo di grande preoccupazione il fatto che una simile visione ideologica riceva copertura costituzionale, deformando principi nobilissimi, quali gli stessi fondamenti biologici ed antropologici della generazione, nonché l’interesse del minore ad esempio ad avere anche la figura paterna”. Il rischio è quello di “un diritto disancorato dalla realtà, che legifera sulla base dell’emotività e dell’istanza individuale, e non più su verità condivise, fondate sull’umano prima ancora che sul legale”. “Ci aspettiamo – conclude il network – che da questa sentenza nasca, anche nei decisori pubblici, titolari di una autonomia decisionale, una nuova consapevolezza pubblica e culturale sul tema della filiazione, capace di difendere i più deboli, a partire dal figlio, e di rimettere al centro del diritto la realtà della relazione e del dono”.