L'editoriale
Fratelli tutti nella pace

Tanto si parla di quale sarà l’eredità di papa Francesco raccolta dal conclave: affidandoci alla scelta che sarà dei cardinali, non si può negare che, tra le tante, sarebbe un gran guadagno per l’umanità intera se restasse e camminasse a passi veloci per il mondo la sua insistita fratellanza. Fratelli tutti non è solo uno dei tanti messaggi che papa Francesco ha affidato ad un’enciclica ma, potremmo dire, è anche quello che tutti gli altri comprende.
Fratelli: che rispettano il vicino di casa e di nazione, anche se parla, prega, mangia, veste in modo molto diverso; che non si giudicano nelle differenze né disegnano scale di umanità nelle quali chi sta in cima condivide lo stesso pensiero. Perché, ha ricordato Francesco più volte: “Siamo tutti nella stessa barca” e “nessuno si salva da solo”.
Fratelli: che rispettano la casa comune chiamata pianeta, casa che condividono, dove seminano e mietono, dove raccolgono anche i frutti dei guai da altri provocati. Accade con l’inquinamento e con le conseguenze dei cambiamenti climatici, spesso subiti e pagati dai paesi più poveri, puniti e non rei. Una terra ricevuta come un Eden e oggi corpo dolente da noi ferito e inascoltato: “La nostra oppressa e devastata terra, che ‘geme e soffre le doglie del parto’ (Rm 8,22). Dimentichiamo che noi stessi siamo terra (cfr Gen 2,7)” ha scritto Francesco nella “Laudato si’”.
Fratelli: che si accolgono, che si stringono alla tavola del mondo per far spazio a chi a nessuna tavola imbandita accede. Fratelli che si donano la pace, anche accogliendo fugge dai paesi in guerra: “Caino, dov’è tuo fratello?” ha chiesto papa Francesco nel suo primo viaggio a Lampedusa. In quella domanda, semplice e tremenda, i migranti annegati e respinti sono Abele, Caino siamo noi.
Fratelli ci siamo riconosciuti in Francesco: fratelli che hanno gioito al suo sorriso, al suo pollice alzato, alle sue frasi (“la corruzione spuzza”, “gli indietristi”), ugualmente conquistati dalla sua simpatia, dalla sua semplicità e soprattutto dalla sua autenticità, perla rara in un mondo che s’industria d’apparire. Fratelli ci siamo poi ritrovati nel condiviso e compartecipe dolore per averlo perso: fratelli che a migliaia di migliaia, dalla basilica e da piazza san Pietro, dalle strade di Roma e da un quasi infinito numero di tv e radio dalle case, dalle auto, dai posti di lavoro, si sono stretti in un saluto lungo una settimana, che non sapeva trovare fine.
Ora che non c’è più siamo al passo più difficile: non perdere questo tesoro di fratellanza appena sperimentata e raccogliere i suoi insegnamenti oltre l’emozione del momento. Per i credenti quella fratellanza ha origine dalla comune paternità dell’unico Creatore: per questo hanno strada facile nel sentirla tale ma pure l’arduo impegno di promuoverla con gesti e scelte e sostenerla anche verso chi non la sente o non la crede.
C’è una prova urgente: fratelli ovvero persone che non si fanno la guerra l’un l’altro, che non si uccidono e massacrano, che non invadono né distruggono gli altrui paesi. Fratelli che non sempre di capiscono, che sono diversi ma che sanno fermarsi e imparano a condividere – si impongono e vogliono farlo – un limite invalicabile: non spegnere mai la vita dell’altro. Francesco, che abbiamo onorato a milioni nei giorni del lutto, ha parlato incessantemente contro la guerra follia degli uomini, che lascia tutto e tutti peggiori, che imbruttisce chi la fa, intossica i cuori, incenerisce speranze. Alla guerra, risposta bramosa dell’uomo lupo, il papa ha contrapposto la via fraterna e difficile del farsi costruttori e “artigiani di pace”. Una pace che nasce pazientemente dal cesello della diplomazia, che è sostenuta dalla volontà che non si scoraggia, che è costellata da incontri e dialoghi anche quando questi sembrano impossibili: non meno impossibili di vedere Trump e Zelensky parlarsi uno di fronte all’altro dentro la basilica di san Pietro pochi muniti prima del funerale. Dono tra i doni di Francesco.
La pace è il dono urgentissimo che il mondo attende, a partire da coloro che penano sotto bombe e attacchi armati, ma pure sogno condiviso e globale. Ecco, allora, che il mondo saprà onorare davvero Francesco se troverà la via per dar seguito a quei primi contatti avvenuti in san Pietro, i cui tempi di sviluppo non si possono che auspicare rapidi. Speriamo davvero che quei grandi della terra che, durante le esequie, si sono ritrovati fianco a fianco e proprio al cospetto di colui che per tre anni ha invocato la pace, tanto instancabile quanto inascoltato, ne abbiano finalmente avvertita la medesima urgentissima necessità.