Domenica 18 maggio, commento di don Renato De Zan

Gv 13,31-33a.34-35

31 Quando Giuda fu uscito dal cenacolo, Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. 32 Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. 33 Figlioli, ancora per poco sono con voi. 34 Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. 35 Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».

Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri

Il Testo

1. Rispetto alla pericope biblica originale, la formula evangelica ha subito due ritocchi liturgici. Al posto del pronome “egli”, la Liturgia esplicita il nome di Giuda (Quand’egli fu uscito = Quando Giuda fu uscito) ed ha aggiunto “dal cenacolo” per indicare il luogo da cui Giuda se ne va , ma anche per indicare il luogo dove Gesù dice le parole che seguono. Inoltre, al v. 33 la Liturgia ne toglie la seconda parte (“voi mi cercherete, ma come ho già detto ai Giudei, lo dico ora anche a voi: dove vado io voi non potete venire”). Questo breve tratto viene soppresso perché creerebbe non poche difficoltà di comprensione. Per spiegarlo sarebbe necessario un tempo che va oltre il tempo lecito di una omelia. Secondo i Praenotanda dell’Ordo Lectionum Missae del 1981 (n. 76) certi testi vanno tolti dalla proclamazione liturgica, ma la catechesi non è esonerata dallo spiegarli.

2. La breve formula evangelica si divide in tre parti. Nella prima (/a/: Gv 13,31-32) il testo è dominato dal verbo “doxàzo-glorificare”. La parte centrale (/b/: Gv 13,33a) Gesù avverte i suoi di avere poco tempo davanti per stare con i suoi. Infine, nella terza parte (/a’/: Gv 13,43-45) il testo è dominato dal verbo “agapào-amare donativamente”. Nel post-esilio la “dòxa-gloria”, in ebraico “kabòd”, espimeva una cosa meravigliosa: Dio infinito non poteva essere sperimentato dall’uomo che è finito. Dio si “rimpiccioliva” (kènosis ante litteram) in modo che l’uomo potesse, sebbene finito, fare esperienza di Dio. L’amore, invece, era conosciuto: “Amerai il tuo prossimo come te stesso” (Lv 19,18). Gesù però lo rivoluziona: l’amore va vissuto come Egli lo ha vissuto.

L’Esegesi

1. In tutta la vita di Gesù il Padre ha fatto esperimentare per mezzo di Lui la sua presenza e bontà salvifica. Con il tradimento di Giuda inizia il compimento della glorificazione che il Padre attua nei confronti del Figlio. L’azione divina ha due significati. Come primo significato: Dio intende manifestare in ciò che sta per vivere il Figlio (passione-morte-resurrezione) tutto l’amore divino per l’umanità. In ciò che compie il Figlio si ha una manifestazione esperimentabile di Dio che ama l’uomo. Ciò che fa Gesù è rivelazione di Dio a noi. Come secondo significato: Dio progressivamente manifesta nel Figlio la vera identità del Figlio. Con l’innalzamento sulla croce il Figlio inizia il suo innalzamento per ritornare nel mondo divino da cui era venuto.

2. Il proverbio dice che all’amore non si comanda. In buona misura è vero perché l’amore ha delle ragioni che la ragione non capisce (B. Pascal) e anche perché nessuno può crearsi nel suo mondo interiore un sentimento che non ha. Non si può comandare a qualcuno che ci ami. Perché, invece, Gesù, ci comanda l’amore? Semplicemente perché tale amore non è un “sentimento”. Si tratta, invece, di una scelta che nasce dal dono immenso della fede che abbiamo ricevuto da Lui per mezzo dello Spirito che abita in noi. L’amore con cui Gesù comanda di amare gli altri è un amore particolare: quello che Dio ha per noi e che noi riusciamo a esperimentare. Se non si è mai fatto esperienza dell’amore di Dio non possiamo amare come Lui e, tanto meno, possiamo amare i nostri nemici.

3. Siamo nell’ultima cena. Gesù non ha più tanto tempo per rimanere in mezzo ai suoi discepoli come uomo. Intende lasciare la sua impronta indelebile (“Vi do un comandamento nuovo”) nei suoi discepoli attraverso il comandamento dell’amore. Abbiamo visto che a un esame superficiale il comandamento si trova già in Lv 19,18. Ci sono, però, due osservazioni da fare. La prima è che – per l’ebreo – il “prossimo”

è l’altro ebreo. Chi non era ebreo non era “prossimo”. La seconda osservazione riguarda il fatto che l’amore dell’A.T. era un vero e proprio sentimento. Per Gesù è una scelta che dipende dalla fede. Prima di tutto il cristiano ama come ama Gesù (e se il cristiano non ha mai fatto esperienza di essere stato amato da Gesù non sa mettere in pratica il comandamento). Poi, per il cristiano il “prossimo” è chiunque, anche il nemico.

Contesto Celebrativo

1. La Colletta propria ha rimasticato il testo evangelico. Nell’amplificazione dell’invocazione (“che tutto rinnovi nel tuo Figlio glorificato”) ha ripreso Gv 13,31-32. Nelle due complementari, poi, la Colletta riprende Gv 13,35: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri”, traducendo il testo biblico in preghiera: “fa’ che mettiamo in pratica il suo comandamento nuovo (cf Gv 13,34a) e così, amandoci gli uni gli altri, ci manifestiamo al mondo come suoi veri discepoli”. Per chi pratica la lectio divina, la Colletta propria è un ottimo esempio di Oratio.