L'editoriale
Vent’anni fa, un altro mondo

Giovanni Paolo II moriva vent’anni fa, la sera del 2 aprile 2005: sentirsi persi senza di lui fu un sentimento condiviso da tanti, dati i suoi quasi ventisette anni di pontificato. Un periodo lungo e denso di novità che il giovane papa, eletto a 58 anni appena, portò non solo nella Chiesa ma nel mondo intero. Forte e amante della montagna, l’Atleta di Dio – come venne chiamato – stupì con le foto di un papa non più icona lontana: stava in mezzo alla gente, andava in montagna, sciava e camminava in calzoni e scarponi, si spostava come mai nessuno aveva fatto prima con i suoi 194 viaggi apostolici fuori dall’Italia e i 148 in Italia. Fu lui che spalancò le porte ai giovani e ne abbracciò a milioni con la novità assoluta, ora irrinunciabile, delle sette giornate mondiali della gioventù. Sette furono anche le encicliche (“Fides et ratio”, per citarne una, legò indissolubilmente la fede alla ragione) e, fra i tanti discorsi memorabili quel “Non abbiate paura” e il durissimo “Verrà un giorno il giudizio di Dio”: era il 1993 e la mafia aveva appena ucciso Falcone e Borsellino. E poi i due libri, tra cui uno di poesie mistiche: un passo avanti, pur se superato dalla fertilità editoriale di papa Francesco. Frammenti di ricordi che non rendono merito a un gigante della fede e della testimonianza portata avanti fino all’urlo silenzioso, cui la malattia megera lo costrinse.
Ma, tra tutto quello che potremmo ricordare di lui e dei suoi anni, un pensiero primeggia: la percezione nitida di come quello fosse un altro mondo. Un mondo che passava dalla chiusura di un sistema politico diviso per blocchi alla sperimentazione di nuove aperture grazie alle quali persone e merci cominciavano a circolare liberamente. Si passava dalle barricate agli scambi ed è qui che la differenza si fa marcata: la storia, come i gamberi, sembra oggi muoversi all’indietro. Il mondo si richiude, si arrocca, erge barriere di dazi contro le merci, fili spinati contro le genti, castelli di ideologie rabbiose che seminano tensioni e paure tra i popoli.
Il pontificato di Giovanni Paolo II si intrecciò alle cronache di quegli anni, anche accelerandole, specie riguardo a un evento che, visto in diretta da milioni di increduli, sembrò davvero cambiare il mondo almeno fino al 24 febbraio 2022: l’abbattimento del muro di Berlino (9 novembre 1989).
Dal quel crollo vissuto come una festa il mondo si rialzò diverso, sperimentava l’unione dopo la divisione della guerra fredda e della cortina di ferro. Si era sgretolata la divisione tra un al di qua e un di là, della democrazia versus il regime, dell’ovest versus l’est. Due anni prima (8 dicembre 1987) i presidenti di paesi opposti e rivali, l’americano Reagan e il russo Gorbacev, avevano firmato il trattato che poneva fine alla questione degli euromissili (missili tenuti in Europa contro il relativo avversario), iniziando il percorso che nel luglio 1991 portò alla firma del trattato Start I, con il quale si limitava il numero delle armi nucleari (furono smaltiti quasi tremila missili). Sembrava la fine della muscolare corsa all’atomica nel nome della coraggiosa consapevolezza della follia degli arsenali, un pericolo per i viventi di ogni latitudine.
Ricordi che stridono con l’oggi dei dialoghi difficili, di nazionalismi bellicosi, delle cronache senza fine di scontri, vittime, attacchi e nuovi massicci riarmi. Come se ciò non bastasse, la tensione si impenna anche sul piano dei mercati e delle economie con dazi (americani dal 2 aprile) e contro dazi (europei dal 13 aprile) che ammorbano i rapporti invece che conciliarli. Tremano pure le democrazie europee, ritenute baluardo di civiltà, e vacilla la pace a lungo goduta.
La constatazione non può essere allora che una: in vent’anni abbiamo sgretolato un patrimonio. Persi gli sguardi capaci di allargarsi ed abbracciare gli altri, sostituiti da quelli ripiegati al proprio interesse e abbandonate le strade della cercata distensione per gli spericolati sentieri che mirano ad annichilire l’avversario di turno, tuonando minacce di ogni tipo se non forzandone e violandone i confini.