Cultura
Il fascino della Resurrezione nella poesia: ” Un breve sonno e ci sveglieremo eterni”

“(…) Perché dunque ti gonfi?
Un breve sonno e ci destiamo eterni.
Non vi sarà più morte. E tu, morte, morrai”.
Non una diretta descrizione poetica della Resurrezione: John Donne (1572-1631), grande poeta inglese, nei suoi Sonetti Sacri affronta il tema del Cristo risorto spostando l’attenzione proprio sulla grande nemica: grazie al Risorto sappiamo che il potere della morte è solo terreno, perché anche Cristo “abbracciò la Croce” per condividere l’umana sorte con noi e per farci rinascere alla speranza con la sua Resurrezione, ispiratrice dei più sublimi capolavori dell’arte e della poesia.
Quasi tre secoli prima Dante aveva narrato nel XIV del Paradiso la visione di una croce composta dalle anime dei beati che intonano un canto talmente bello da rapirlo senza l’esatta comprensione delle parole, tranne due: “Resurgi” e “Vinci”, chiaro riferimento alla vittoria sulla morte e sul peccato.
Qui, come accade nella grande poesia, il motivo del Cristo risorto è tutt’uno con quello del passaggio umano attraverso una straordinaria visionarietà in cui salvezza, Vangelo, mondo e altrove formano un tutt’uno.
Anche quando a parlarne sono i laici o i non credenti, come Giovanni Pascoli (1855-1912) che nei Poemi Cristiani coglie il fiorire della nuova fede in un momento in cui declinava malinconicamente l’antica religione pagana nasceva una nuova speranza. Testimonia infatti il Centurione: “Quello era veramente un giusto. Fu appesa alla croce la motivazione della morte: questo è il re. (…) Poi si sparse la voce che aveva spaccato la tomba. Avrei il coraggio di crederlo vivo?”. Queste poche righe, tradotte dal latino (Pascoli ha scritto molte sue opere in questa lingua) ci fanno comprendere come la Resurrezione abbia affascinato non solo i credenti, ma anche gli scettici e i cercatori di verità, come il Goethe che fa iniziare il suo Faust proprio quando le campane danno “l’annuncio della prima ora del giorno di Pasqua”, con il coro degli angeli che intonano “Cristo è risorto! Beato chi ama/ chi sostiene l’ansia/della salutifera/ prova e vi si tempra”. Le creature celesti invitano gli uomini, anche gli scettici, a liberarsi “in letizia/ da quel che v’incatena”, e cioè dal fardello di una ricerca esclusivamente umana senza felicità e speranza.
Quando Alessandro Manzoni dedica uno dei suoi Inni Sacri alla Resurrezione, è ancora in una fase di assestamento: due anni prima -la lirica è del 1812- aveva intrapreso con Enrichetta Blondel il cammino di conversione. Entusiasmo e ricerca di nuovi modi espressivi sono le dimensioni in cui lo scrittore non prova neanche a dire l’indicibile, ma lo manifesta attraverso le parole dell’angelo che qui viene presentato come un giovinetto: “Alla mesta che ‘l richiese/ diè risposta quel cortese:/ ‘E’ risorto: non è qui”. Ancora un lessico legato alla tradizione classica, ma nel contempo lo sforzo di rappresentare la tristezza di Maria Maddalena (“la mesta”) che chiede dove sia il suo Signore, con l’angelo a rivelare con dolcezza l’evento sconvolgente.
Anche quando la memoria dei defunti è al centro della nostra preghiera, ecco che un’altra memoria antica, quella della Resurrezione, si fa largo in noi, come scrive una delle più grandi poetesse del nostro Novecento, Cristina Campo (1923-1977): “Pasqua d’incorruzione!/ Nel vento di primavera/l’antica chiesa indivisa/ annuncia ai morti che indivisa è la vita”.
Sono solo poche testimonianze di quanto la Resurrezione abbia affascinato i poeti di ogni latitudine con la sua carica di speranza e di nuovo senso della vita.
Marco Testi