Dopo le dimissioni dal Gemelli. Card. Semeraro: “Il Papa governa con la forza dello Spirito, non con l’efficienza”

Card. Semeraro

“Il Papa non è un autocrate, e nella Chiesa non conta l’efficienza ma il frutto dello Spirito”. Il card. Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero per le cause dei santi, riflette sul tempo di convalescenza che Papa Francesco sta vivendo le dimissioni avvenute ieri dal Gemelli. Una fase delicata, che il Pontefice affronta con fede e spirito di servizio. “Dalla croce non si scende”, ricorda il cardinale, citando san Giovanni Paolo II e ribadendo il valore evangelico della fragilità.

Eminenza, durante il ricovero Papa Francesco ha vissuto due momenti di pericolo di vita. La notizia ha suscitato una comprensibile commozione tra i fedeli. Come ha vissuto personalmente, da vicino, queste settimane così delicate per il Santo Padre?
Nei bollettini medici si era già parlato di momenti di criticità; ora, però, si dice esplicitamente di “pericolo di vita” e in me emergono due sentimenti: il primo di gratitudine al Signore per avere ascoltato la nostra preghiera: “conservet et vivificet eum”; il secondo, la gioia di vedere confermata la mia fiducia nella sua forza interiore e spirituale.

Il Papa è stato dimesso e ha fatto ritorno a Santa Marta, ma i medici parlano con insistenza di una “convalescenza protetta” di almeno due mesi, con limitazioni anche significative all’attività ordinaria. Come può vivere questo tempo Papa Francesco, che ha sempre concepito il ministero petrino come servizio incessante e come dono di sé senza riserve?
“Dono di sé” non significa “attività”. Il totale “dono di sé” Gesù lo ha realizzato quando era “fissato” sulla croce.

A giorni ricorderemo i venti anni dalla morte di san Giovanni Paolo II, il cardinale Stanislaw Dziwisz ha riferito una sua frase: “Dalla croce non si scende”.

Ad ogni modo, nel governo e nella guida della Chiesa, il Papa non è un autocrate. In Praedicate evangelium lo stesso Francesco ha scritto, citando il Concilio, che il Papa “nell’esercizio della sua suprema, piena ed immediata potestà sopra tutta la Chiesa, si avvale dei Dicasteri della Curia romana, che perciò compiono il loro lavoro nel suo nome e nella sua autorità, a vantaggio delle Chiese e al servizio dei sacri pastori”.

Il Papa ha sempre continuato a lavorare anche durante la degenza, compatibilmente con le sue forze. Dal suo punto di vista, si può parlare di una nuova forma di esercizio del ministero petrino, che mostra come l’età e le difficoltà fisiche non siano un impedimento, ma una condizione evangelica del governare nella Chiesa?
Da quanto ho appena detto si può ricavare una prima risposta a questa domanda. Inoltre, nella Chiesa anzitutto le forme di governo non seguono di per sé i criteri di “efficienza” propri di una azienda. I criteri vanno cercati altrove. Anche per Francesco in condizione di fragilità, vale ciò che egli disse degli anziani il 28 settembre 2014: “Alberi vivi, che anche nella vecchiaia non smettono di portare frutto”.

Domenica, dopo l’Angelus diffuso in forma scritta, Papa Francesco si è affacciato per un breve saluto e una benedizione. Cosa significa, per lei e per la Chiesa, questo gesto? È solo un ringraziamento verso l’ospedale e chi ha pregato per lui o è anche un modo per testimoniare che il ministero del Vescovo di Roma non si sospende neanche nella malattia?
Un rischio nella malattia è quello di spingere a ripiegarsi su se stessi.

Anche nell’umana fragilità Francesco ci mostra quel volto di Chiesa “estroversa” e “ospedale da campo” di cui spesso ci parla.

Quando prima della recita del Rosario, la sera del 6 marzo scorso con i fedeli raccolti in piazza San Pietro udii la sua voce che ci diceva: “Vi accompagno da qui”, rimasi molto pensoso: noi lo accompagnavamo con la preghiera e intanto lui accompagnava noi.

La malattia del Papa ha riportato al centro dell’attenzione pubblica la questione della fragilità nel ministero petrino. A suo avviso, come può la Chiesa vivere con serenità e fede un tempo in cui il successore di Pietro è segnato dalla sofferenza?
Con una certa ironia sant’Ambrogio considera le situazioni opposte di chi pone la sua fiducia nelle condizioni di ottimo benessere (di simili figure ce ne sono anche oggi!) e di chi, al contrario, si lascia abbattere dagli acciacchi e dalla malattia e le confronta con quanto scrive l’Apostolo: “Quando sono debole, è allora che sono forte” (2Cor 12,10). È un principio che vale anche per il ministero petrino. Ho già ricordato qualcosa. La sua forza e la sua autorevolezza sono altrove.