Cura: certezza non speranza

Daughter holding her mothers hand in the hospital

Domenica 9 febbraio la Chiesa celebra la Giornata del malato il cui tema, unendo sofferenza e speranza, la intreccia all’anno giubilare. E’ però impossibile lasciare in un angolo un sottofondo di scontento e allarme che grava sulla questione sanità, sia a livello generale che locale. La condizione della malattia è di per sé quella della fragilità, anche estrema, ed è proprio lì che grava quello che gli addetti ai lavori denominano razionalizzazione o riorganizzazione ma che, agli orecchi di malati e loro familiari, risuona piuttosto come taglio: di posti letto, di reparti, di servizi. E, si teme, di accessibilità alla cura.

La politica storce il naso di fronte a simili letture, riducendole o a commenti di persone poco esperte o a visioni ideologiche di chi non veste la stessa casacca. Ma più che le dietrologie sono i fatti a contare, nel caso specifico quelli relativi alle liste di attesa o alle risposte ottenute dai Cup in cui ci si imbatte da tempo: concrete e tangibili, non da interpretare. Quel che la politica dovrebbe contemplare è che alla base dello scontento c’è la percezione che curarsi si faccia sempre più complicato.

Nel concreto: si avverte che in un vicinissimo futuro, di cui già si vedono le applicazioni, cresceranno gli spostamenti per l’allontanarsi dei luoghi di cura: oggi per un’analisi, domani per un intervento o un post acuto. E questo, in una società che invecchia senza quasi figli, sarà vieppiù un’impresa non da poco, dato che le previsioni demografiche parlano da anni di una popolazione sempre più anziana e sola, sempre più bisognosa non solo di cure ma anche di chi la accompagni a farle.

Già adesso il sistema sanitario aggrava le sofferenze dei malati ogni qual volta manca della risposta ai loro bisogni certificati. Ossia quando, di fronte alla necessità di una visita o di un accertamento (frutto di un’impegnativa scritta da un medico dopo una visita, non di una malattia immaginaria) questi si trovino a misurarsi con l’impossibilità di effettuarla nei tempi indicati. Gli esempi, provati e veri, inanellano una serie di risposte in cui – urgenze a parte – è frequente incappare: l’agenda è chiusa, non ci sono posti, non ci sono date libere, c’è una attesa di dieci mesi (anche a chi ha una priorità a trenta giorni). Capita pure di venire rinviati a ospedali più lontani e non per tutti c’è la possibilità dello spostamento. Una risposta quindi c’è ma inadeguata sia nei chilometri (per un malato o un anziano solo) che nei tempi (troppo lunghe le liste di attesa e non sempre si è nelle condizioni di aspettare).

La soluzione la si trova: o ci si rivolge al privato (che nel frattempo avanza) o si rinuncia alla cura come già accade. Lo ha certificato nel 2024 il rapporto Bes (Benessere equo e solidale) dell’Istat: 4,5 milioni di italiani hanno rinunciato alle cure per tre ragioni: lunghezza delle liste d’attesa, difficoltà di accesso e questioni economiche; erano solo 1,5 milioni nel 2019. Nello specifico, la rinuncia dovuta alla lunghezza delle liste di attesa è raddoppiata: dal 2,8% del 2019 al 4,5% e questo a tutto vantaggio delle prestazioni private. Tutto ciò, sia pur contemplando il pesante effetto Covid e la carenza di medici e infermieri, dice che il sistema sanitario non risponde adeguatamente alle necessità dei cittadini.

La diretta conseguenza è il ricorso alle prestazioni a pagamento, siano dentro la struttura ospedaliera con medici in libera professione, siano all’esterno in ambulatori privati e cliniche che lavorano oggi alla grande e con professionisti qualificati. Ma questo accade perché il sistema nazionale non ce la fa e, se non ce la fa, significa che i pazienti per non aspettare mesi sono indotti a rivolgersi altrove.

A questo punto, citando Antonio Lubrano – conduttore di una trasmissione tv dedicata a smascherare truffe, raggiri e non rispettati diritti – una domanda sorge spontanea: se le liste s’allungano per la mancanza di medici perché li ritrovi si ritrovano poi disponibili privatamente? E se il sistema sanitario non sempre riesce a curarci che sistema sanitario è? Perché, va ricordato: il nostro sistema sanitario nazionale – istituito con la L. 833 del 23 dicembre 1978 – attua l’articolo 32 della nostra Costituzione che parla di tutela della salute come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività. Oggi di certo è rimasto un principio: la speranza dovrebbe essere limitata alla guarigione e non alla cura, che dovrebbe invece essere una certezza.