L'Editoriale
La costruzione più difficile
Ad un anno dal tragico risveglio di Israele, sabato 7 ottobre 2023, dopo una mattanza di tale ferocia da non essere stata ancora del tutto mostrata, il mondo si trova oggi avviluppato in un odio che non sa che aumentare. Tre voci si sono alzate per invocare al pace: ma questa risulta la costruzione più difficile (foto Ansa/Sir)
Ad un anno dal tragico risveglio di Israele, sabato 7 ottobre 2023, dopo una mattanza di tale ferocia da non essere stata ancora del tutto mostrata, il mondo si trova oggi avviluppato in un odio che non sa che aumentare. La risposta è stata durissima e ancora è in corso: vediamo immagini da una Gaza semi polverizzata, sentiamo numeri enormi di vittime (41mila). Così, increduli di fronte al dispiegarsi della ferocia degli eventi bellici, restiamo come la terra nella poesia “Lampo” di Pascoli: “ansante, livida, in sussulto”. Ed impotente, come noi, che restiamo fermi a trattenere il fiato di fronte a un mondo che da più fronti divampa sempre più. Ma gli uomini sono interessati alla pace, alla loro stessa sopravvivenza?
Al fronte del Medio Oriente, che allarga fino al Libano lo scenario di guerra, fa da contraltare quello russo ucraino dove la guerra infuria, avida di terra che semina di morti. Alle vittime si accompagnano le crescenti minacce all’Occidente del premier russo Putin che, modificando le regole precedenti, ha dichiarato che basterà un attacco convenzionale da qualsiasi paese non nucleare, sostenuto da una potenza nucleare, a provocare una sua risposta con armi atomiche. Nel frattempo il suo arsenale, primo nella classifica del mondo, sfiora le 5mila seicento testate, oltre 1710 già schierate e pronte all’uso. Non bastassero queste, la Russia ha al suo attivo missili balistici capaci, in venti minuti dal lancio, di raggiungere Londra come l’America. Sono assai lontani, e li rimpiangiamo, i tempi in cui Reagan e Gorbaciov si accordavano per la messa al bando degli euromissili, primo passo verso il trattato per la riduzione degli arsenali atomici. Da quella lunga illusione di pace ci hanno svegliato le sirene di Kiev e il sangue versato nei kibbuz.
Oggi, nuovi odi riarmano mani e arsenali, mentre gli esperti si allarmano ogni giorno di più, i capi degli stati si riuniscono con urgenza: ma la pace pare restare il sogno dei popoli che (alcuni) governi irridono.
Tre voci si sono alzate su questo scenario minaccioso. La prima è quella del patriarca di Gerusalemme dei Latini, il Card. Pierbattista Pizzaballa che, nel primo anniversario della mattanza di Hamas – data simbolica per ricordare tutti i civili palestinesi morti sotto i bombardamenti come gli israeliani ancora in ostaggio del terrore -, ha invitato ad una giornata di preghiera, digiuno e penitenza per il 7 ottobre. La seconda è quella di papa Francesco che, dal suo viaggio in Lussemburgo, giovedì 26 settembre, ha rinnovato il suo appello alla ragionevolezza delle parti, denunciando “l’impellente bisogno che quanti sono investiti di autorità si impegnino con costanza e pazienza in oneste trattative in vista della soluzione dei contrasti, con l’animo disposto a individuare onorevoli compromessi, che nulla pregiudicano e che invece possono costruire per tutti sicurezza e pace”. Tutto questo al fine di “impedire l’impazzimento della ragione e l’irresponsabile ritorno a compiere i medesimi errori dei tempi passati, aggravati per giunta dalla maggiore potenza tecnica di cui l’essere umano ora si avvale”. La terza infine quella del Segretario di Stato card. Parolin che ha parlato all’Onu il 26 settembre dimostrando tutta la preoccupazione della Santa Sede per l’allargarsi dei conflitti e, citando Francesco ha ricordato: ““La pace è possibile solo se la si desidera”.
Confidiamo e preghiamo perché ciò accada: qualcuno ascolti queste voci, qualcuno si fermi davanti allo scenario apocalittico e, difendendo se stesso e il mondo, si impegni nella costruzione più difficile, quella della pace.