Commento al Vangelo
Domenica 11 agosto, commento di don Renato De Zan
Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo
11.08.2024 19° TO
Gv 6,41-51
In quel tempo,
Il Testo
1. Il ritocco della Liturgia sulla pericope di Gv 6,41-51 è modesto. Ha soppresso l’avverbio iniziale “allora” e ha aggiunto il solito incipit, “in quel tempo”. Il taglio della formula non rispetta l’esegesi del testo (vedi il primo punto dell’Esegesi). Tuttavia è stato fatto in modo molto intelligente. Nei primi due versetti troviamo due espressioni: “il pane disceso dal cielo” (v. 41) e “Io sono disceso dal cielo” (v. 42). Alla fine del brano si trovano due espressioni quasi uguali: “il pane che discende dal cielo” (v. 50) e “Io sono il pane vivo disceso dal cielo” (v 51). L’inclusione è evidente. Il testo si apre con una domanda dei Giudei, ricchi di preconcetti (“conosciamo il padre e la madre”), la quale manifesta l’incomprensione degli ascoltatori: “Come dunque può dire: Sono disceso dal cielo?”. La risposta di Gesù si articola in due momenti.
2. Il primo momento della risposta Gesù evidenzia come non sia facile credere in Lui: “Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato”. Credere in Gesù, dunque, è un dono. A questo dono è legata una promessa: “Io lo risusciterò nell’ultimo giorno”. Credere in Gesù è un privilegio solo per alcuni? Non proprio perché “Tutti saranno istruiti da Dio”. Dio non esclude nessuno.
Il secondo momento della risposta di Gesù è caratterizzato dalla duplice ripresa: “Io sono il pane della vita” (v. 48), “Io sono il pane vivo” (v. 51). Nella prima ripresa Gesù compara coloro che mangiarono la manna e sono morti con colui che mangia il pane disceso dal cielo e non muore. Nella seconda ripresa il Signore ripete il concetto già detto (“Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno”) e va oltre. Quel pane è la sua carne data per la vita del mondo. Quel pane è la carne di Gesù per tutti, soprattutto per coloro che sono “contro” Dio (= mondo).
L’Esegesi
1. L’esegesi nota che il testo di Giovanni avrebbe una duplice cadenza, In Gv 6,35-50 viene svolto il tema del pane della vita che discende dal cielo e chi ne mangia non muore. L’altro testo è Gv 6,51-59 dove vien identificato il pane che dà la vita: è la carne e il sangue di Gesù. La Liturgia scegliendo Gv 6,41-51 ha di fatto compiuto una opzione di tipo tematico. Il primo tema è il “preconcetto”. I Giudei giudicano Gesù dall’anagrafe: conoscono il padre e la madre e, dunque, non può essere disceso dal cielo. Era già successo a Nazaret (Mc 6,3: “Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?”). L’atteggiamento degli abitanti di Nazaret è uguale all’atteggiamento degli abitanti di Cafarnao. La presunzione di conoscere già Gesù non è il modo con cui accostarsi a Lui. La risposta di Gesù invita a “non mormorare”. Il verbo greco “engùzo” nel vangelo di Giovanni è adoperato nel senso di “parlare di Dio in modo biasimevole” (A.J. Hess). Traduce l’ebraico “lûn” che esprime le mormorazioni contro Dio fatte dagli Ebrei durante l’esodo (Es 15-17; Nm 14-17).
2. Il pane che Gesù dona viene dall’alto. Non è, infatti, qualche cosa che appartiene alla storia, ma appartiene al mondo di Dio. La proposta di Gesù, dunque, è l’offerta dell’eternità all’uomo. Questo pane è la carne stessa di Gesù. Per esprimere questo concetto il vocabolario adoperato da Gesù è finissimo. Egli dona il pane e il pesce moltiplicati e fa fare esperienza all’uomo come Gesù sia datore di vita. Allo stesso modo donerà (“egò dòso” – io darò) tutta la sua persona all’uomo perché egli diventi una cosa sola con il Maestro che è pane “vivente” (“pane vivo”). La salvezza è questa: Cristo dona la vita eterna e all’interno di questa opera c’è il punto altissimo del perdono dei peccati.
Il Contesto Liturgico
Il pellegrinaggio di Elia verso il monte Oreb (prima lettura, 1Re 19,4-8) rappresenta in qualche modo la vita del credente. Il pellegrinaggio della vita – come per Elia – è qualche cosa di molto lungo. C’è bisogno di un cibo che sostenga il cammino. Questo cibo, per il cristiano, è la persona di Gesù, pane vivo disceso dal cielo, donato all’uomo perché compia il misterioso pellegrinaggio verso la vita eterna, che è Gesù stesso (cfr. Gv 6, 45: “Chiunque ha udito il Padre e ha imparato da lui, viene a me”). Cibarsi di Cristo equivale a fare l’esperienza del profeta: “Con la forza di quel cibo camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb”. Poiché il Cristo è quel cibo, ma è anche la meta, cibarsi di Cristo significa essere giunti alla meta stessa. La Colletta propria esprime questo concetto.