L'Editoriale
Con un cuore rigenerato
Se i cattolici si sono mossi e hanno lavorato attorno a questo tema è anche perché sentono che manca una realtà politica che li rappresenti. I dati sull’astensionismo confermano che non solo i soli. Il rischio è il disinteresse, il lasciar fare ad altri ma, come ribadito da papa Francesco: “L’indifferenza è il cancro della democrazia”.
Non può restare solo fumo delle tante parole, importanti, dette dal Presidente Mattarella all’apertura della 50 Settimana sociale dei cattolici in Italia, né di quelle pronunciate da papa Francesco in chiusura. La cinque giorni è stata il frutto di un lungo lavoro preparatorio, di verifiche e messe a punto che, nei laboratori come nelle piazze, hanno maturato intenti e finalità, rimettendo al centro – al cuore, per citarne lo slogan – le persone, la fraternità, l’impegno, la responsabilità. Il tutto alla ricerca e nell’intento di una salda condivisione. Significativo che il tutto si sia svolto nello scenario di una città simbolo come Trieste, per cui si è lottato e che prima della unità – nome meritato dalla piazza spalancata sul mare – ha sperimentato e sofferto odi, divisioni, accoglienze e profuganze. Non ne mancano gli echi odierni per quel suo essere finestra sull’Europa e sui Balcani, ma anche porta dalla quale i migranti cercano un ingresso e una nuova vita.
Uno il tema, riassunto dallo slogan “al cuore della democrazia”, che è pure da intendersi come la democrazia nel cuore, da avere a cuore. I cattolici lo hanno scelto con la consapevolezza di un bene da tutelare, spinti anche dalla necessità se non dall’urgenza: da anni e sempre più nel mondo la democrazia vacilla mentre le democrature (definizione di un ibrido) avanzano a passi decisi. Come le parole di Mattarella hanno ben ritratto, la democrazia “non può trasformarsi in assolutismo della maggioranza”.
Se i cattolici si sono mossi e hanno lavorato attorno a questo tema è anche perché sentono che manca una realtà politica che li rappresenti. I dati sull’astensionismo confermano che non solo i soli. Il rischio è il disinteresse, il lasciar fare ad altri ma, come ribadito da papa Francesco: “L’indifferenza è il cancro della democrazia”.
Non si tratta tanto di nostalgie partitiche quanto della necessità di ritrovare uno spirito, che non è di rappresentanza se non è di servizio e non è di servizio se non è concretamente impegnato in quel bene comune da non lasciar spegnere in vessillo stinto, o slogan vuoto, ma che al contrario sempre deve costituire quell’imperativo morale che ogni scelta, ogni passo sottende. E allora sì a una democrazia che sieda in parlamento ma che pure sappia camminare per strada, chinarsi sui problemi, accogliere chi bussa non solo dentro i confini ma dentro un progetto inclusivo. Come ha specificato il card. Matteo Zuppi, presidente della Cei, anch’egli a Trieste: “I cattolici non sono una lobby in difesa di interessi particolari e non diventeranno mai di parte perché l’unica parte che amano e indicano liberamente a tutti è quella della persona, ogni persona, dall’inizio alla fine naturale della vita, senza passaporto”. Concetto messo nero su bianco anche da papa Francesco in un libro distribuito proprio domenica 7 luglio in piazza Unità d’Italia: “Trieste è una metafora di fratellanza. Agiamo insieme per accogliere”.
Tanti cuori hanno palpitato nella città a confine di tre stati: quelli dei 1.200 delegati che hanno lavorato prima e durante la Settimana sociale e quelli degli 8.500 partecipanti alla chiusura. Non è stato solo un grande momento di raccolta, semmai è bello – con speranza – pensarla come una semina. Per usare una metafora automobilistica si può dire che si è fatto il pieno per ripartire carichi di energia e con la rotta ben individuata e condivisa: quella di una nazione, e un mondo, in cui vale la pena spendersi a servizio del fratello, della comunità, per una crescita comune.
Non è facile in un momento in cui grossi problemi – le guerre, le migrazioni, i nuovi equilibri – e un mondo che cambia rapidamente rendono l’assunzione della responsabilità un atto di coraggio fin quasi all’eroico. Ma, ha ricordato Francesco, “Uno stato non è veramente democratico se non è a servizio dell’uomo”. Tocca ai cattolici ricordarlo, incarnarlo, manifestarlo con la propria vita. Dopo Trieste questo non sarà come per incanto più facile, ma da Trieste si può ripartire – per chiudere con le parole del papa – con “un cuore rigenerato”.