L'Editoriale
Unità differenziata
La legge in questione offre, è vero, “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” solo alle regioni che ne facciano richiesta, ma gli ambiti per i quali questo è possibile costituiscono un lungo elenco, di cui bastano tre voci – lavoro, scuola, sanità - a concretizzare quanto ci sia in ballo.
Unità
differenziata
Simonetta Venturin
L’Italia: unita da Garibaldi è stata divisa dai seguaci di Bossi? Dopo il sì del Senato anche la Camera, sia pure dopo una seduta lunga quattordici ore, ha approvato con 172 sì il disegno di legge a firma del Ministro leghista Calderoli. È dunque passata la legge sull’autonomia differenziata. Le polemiche sono subito divampate, specie al Centro Sud, specie da una parte politica (centro sinistra) ma anche in seno ai fautori e ai loro alleati (Forza Italia) non sono mancate defezioni.
L’eco del cambiamento è arrivato oltre le sedi istituzionali e il perimetro dello Stato italiano, ricevendo attenzioni dal Vaticano (una nota della Cei) come dall’Unione europea (Country Report 2024 del 19 giugno).
La Cei già a fine maggio, quando l’autonomia era ancora un disegno di legge, aveva reso pubblica una sua nota a riguardo. Il testo era stato approvato dal Consiglio episcopale permanente del 22 maggio durante l’Assemblea generale dei vescovi italiani. Un passaggio ben racchiude e sintetizza le loro preoccupazioni: “Il progetto di legge con cui vengono precisate le condizioni per l’attivazione dell’autonomia differenziata – prevista dall’articolo 116, terzo comma, della Costituzione – rischia di minare le basi di quel vincolo di solidarietà tra le diverse Regioni, che è presidio al principio di unità della Repubblica”. Il timore sottolineato è che si andasse sottovalutando il rischio di perdere l’unità del paese da intendersi anche come omogeneità nei servizi, specie riguardo la Sanità – voce di spesa che grava enormemente sui bilanci delle regioni – e che quindi si rischiasse di ritrovarsi con una nazione disunita e con disparità figlie delle diverse risorse delle regioni. “Il Paese non crescerà se non insieme” hanno sintetizzato i Vescovi, rimarcando che unità significa anche corresponsabilità e uguale attenzione dello Stato per tutti i suoi territori.
Il cambio di passo resta per certo importante, tanto è vero che ha destato allarme anche in sede di Unione europea. In un documento del 19 giugno la Commissione Ue ha scritto a chiare lettere: “Il ritorno di competenze aggiuntive alle Regioni italiane comporta rischi per la coesione e per le finanze pubbliche”. Preoccupano anche oltralpe due aspetti: che venga a incrinarsi l’unità del paese da una parte, che il tutto finisca per gravare ulteriormente sulle finanze pubbliche con la realizzazione di doppioni di esercizi a livello locale dall’altra. Aspetti che, a pochi giorni dall’apertura della procedura di infrazione per deficit eccessivo contro sette paesi, tra cui l’Italia, non rassicura l’Ue circa la capacità di ripresa e la stretta sui conti pubblici ai quali la nostra nazione è chiamata.
Anche se, sul versante politico, i sostenitori della legge vanno spiegando che si tratta sostanzialmente di offrire maggiori libertà e autonomia a quelle regioni che sceglieranno di goderne, all’interno del paese le opposte visioni si fronteggiano e la tifoseria è accesa. Se le forze al governo sono molto soddisfatte della vittoria “storica”, figlia di un lungo cammino partito dalla battaglia della Lega di Bossi (la “Roma Ladrona” della prima ora di contro alla virtuosa Padania), le opposizioni (Pd, M5S, 5stelle, Italia Viva) si sono attivate per raccogliere le firme necessarie al referendum abrogativo di una legge che creerà, a giudizio delle stesse, figli e figliastri, disparità e dislivelli di servizi (poco memori le sinistre che il via al cambiamento è stato dato dal Governo Amato a seguito del Referendum del 7 ottobre 2001 il quale, modificando il Titolo V della seconda parte della Costituzione, ridisegnava tra l’altro il potere legislativo delle regioni e le materie di competenza). Se poi a questo ci si aggiunge in prospettiva pure il premierato il timore dei timori è oggi quello di ritrovarsi nel giro di una legislatura con una nazione profondamente cambiata.
La legge in questione offre, è vero, “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” solo alle regioni che ne facciano richiesta, ma gli ambiti per i quali questo è possibile costituiscono un lungo elenco, di cui bastano tre voci – lavoro, scuola, sanità – a concretizzare quanto ci sia in ballo. Se alle preoccupazioni dei vescovi su autonomia differenziata e premierato le risposte avute potevano dirsi surriscaldate dalla campagna elettorale in atto, non si sa quanto pesino adesso le sottolineature dell’Ue. Certo, ci fu un tempo in cui lo sguardo altrui sul nostro paese aveva un peso e l’unità era ricercata come assoluta priorità. Sta ancora scritto nel testo del nostro inno nazionale: “Noi siamo da secoli calpesti, derisi, perché non siam popolo, perché siam divisi”.