L'Editoriale
Psicologia elettorale
Nessuno è solo dentro la cabina elettorale. Ciascun votante, infatti, si porta nei pensieri e sulle spalle un bagaglio personale di memorie familiari (vicende di guerre, di impegno politico diretto, di simpatie discusse e respirate in casa), di prese di posizione condivise o – per opposto – osteggiate, ma anche insoddisfazioni e delusioni per voti precedentemente espressi, per fiducia accordata e poi tradita.
Psicologia
elettorale
Simonetta Venturin
Ci siamo: si aprono le urne e tocca a noi elettori, ciascuno col suo carico di informazioni, lette e sentite. Ma la tendenza pare quella del mordi e fuggi anche in questo delicato compito: su uno zoccolo di idee pre-concette, si depositano manciate di slogan, comunicazioni da un minuto sui social, echi di qualche dibattito televisivo, spesso influenzato dalla rete che lo ospita e tendente ad assumere le vesti combattive dello scontro tra opposte fazioni: noi contro voi, io contro te.
Una bella analisi del come si vota l’hanno fatta Michael Bruter e Sarah Harrison raccolto nel volume “Inside the Mind of a Voter” (Nella mente di un elettore) edito dalla Università di Princeton (Usa). Michael Bruter è docente di Scienze politiche e Politiche europee alla Lse di Londra (London School of Economics and Political Science), nonché direttore dell’Osservatore di psicologia elettorale a cui collabora anche la coautrice della ricerca, risalente al 2020 e presentata al Parlamento europeo e alle Nazioni Unite.
Lo studio propone un giro del mondo attraverso le più diverse esperienze elettorali: dalla Germania alla Francia, dal Sud Africa alla Georgia, dagli Usa al Regno Unito, paesi questi ultimi che hanno fatto scelte anche inaspettate passando da Obama a Trump, o che hanno optato per la Brexit. Sono stati indagati i comportamenti degli elettori a partire dalle ombre proiettate sulle pareti da chi vota (i gesti, i bigliettini di promemoria, i minuti impiegati), ma anche i commenti di libera chiacchiera di chi fa la fila prima di entrare al seggio e le interviste rilasciate all’uscita. Dato che, tra globalizzazione e social, vale sempre più il detto “tutto il mondo è paese”, alcune conclusioni a cui l’analisi perviene si mostrano interessanti e inducono a riflettere sul proprio atteggiamento in merito.
La prima conclusione: il volume sostiene che tutti gli elettori sono convinti di essere razionali eppure così non è. Per dirla col linguaggio del calcio: sono tifosi che si sentono arbitri. Questo non solo perché l’espressione del voto è una decisione presa d’istinto, spesso a ridosso del giorno della chiamata alle urne, ma anche perché quella ics sulla scheda sgorga da un mix indistinguibile di emozioni e ragionamento.
La seconda: dalle dichiarazioni rilasciate dagli elettori emerge che ciascuno è convinto di stare dalla parte giusta, ritenendo le diverse scelte altrui figlie della disinformazione. Come a dire che se dell’ignoranza c’è, sta altrove; idem per il disinteresse.
La terza: nessuno è solo dentro la cabina elettorale. Ciascun votante, infatti, si porta nei pensieri e sulle spalle un bagaglio personale di memorie familiari (vicende di guerre, di impegno politico diretto, di simpatie discusse e respirate in casa), di prese di posizione condivise o – per opposto – osteggiate, ma anche insoddisfazioni e delusioni per voti precedentemente espressi, per fiducia accordata e poi tradita.
La quarta: è importante far sentire a coloro che votano per la prima volta l’importanza dell’appuntamento, da onorare con preparazione e presenza. Perché, dicono i due esperti, chi comincia non votando tende a continuare così, disertando le successive chiamate.
Infine sono proposti i ritratti degli elettori: dagli egocentrici che si informano riguardo i candidati o gli schieramenti e li valutano secondo il maggior interesse personale che verrà loro dal preferirli fino ai sociotropici che sono, al contrario, gli elettori orientati al bene comune, coloro che scelgono chi – a loro avviso – sa ampliare lo sguardo dall’io al noi, impegnandosi nella costruzione di una società migliore.
Per tutti i motivi espressi, dunque, si può ben dire che esista una vera e propria psicologia elettorale che aiuta a comprendere quel voto che oggi si definisce “post-logico” (oltre la logica), perifrasi raffinata per il popolare “voto di pancia”.
Due considerazioni: in un pianeta devastato dalla guerra, che strazia sempre più i civili, e percosso dal cambiamento climatico che allaga Lombardia e Veneto ma ancor di più l’Indonesia o il Brasile e contemporaneamente incendia e desertifica ampie porzioni dell’Africa, la Sicilia, l’India (dove si sono registrati i 52 gradi, la temperatura più alta del pianeta) è d’obbligo lasciare a riposo la pancia ed usare la testa: pace e ambiente sono due punti imprescindibili, dai quali dipendono tante questioni cruciali dei nostri giorni (ad esempio le migrazioni); sono i binari su cui è in corsa il mondo di domani. Il nostro voto contribuirà a disegnarne il percorso.