Domenica 23 giugno, commento di don Renato De Zan

Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?

23.06.2024. 12° TO-B

 

Mc 4,35-41

35 In quel giorno, venuta la sera, disse loro: «Passiamo all’altra riva». 36 E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui. 37 Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. 38 Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?». 39 Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. 40 Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede? ». 41 E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».

 

 

Il Testo

 

1. La pericope evangelica e la formula liturgica coincidono. La Liturgia ha soppresso solo l’aggettivo “medesimo”: “In quel medesimo giorno…” = “In quel giorno”. Qualcuno potrebbe chiedersi se questa annotazione sia, poi, così importante. A livello esegetico l’aggettivo soppresso avrebbe legato indissolubilmente l’episodio della tempesta sedata con il discorso parabolico precedente che costituisce, per questo motivo, il contesto interpretativo dell’episodio: la tempesta sedata va letta come  una parabola. Non è solo un miracolo, ma è un fatto che va decifrato e capito. Un solo esempio: tra Gesù che dorme e il contadino che dorme nella parabola del seme che cresce (Mc 4,26-29), c’è un legame: Regno di Dio cresce comunque anche se Gesù dorme. Sopprimere l’aggettivo, significa che la Liturgia ha sottratto l’episodio da questa logica e perciò, il miracolo della tempesta sedata va letto come uno dei tanti miracoli compiuti da Gesù.

 

2. La formula di Mc 4,35-41, a livello letterario, è composta da tre parti. Nella prima (Mc 4,35-36) l’autore presenta la scena: i discepoli sono sulla barca insieme con Gesù e stanno per attraversare il lago (“Passiamo all’altra riva”: allude forse alla predicazione ai pagani?). Nella seconda (Mc 4,37-40) viene narrata la tempesta, la paura dei discepoli, l’intervento miracoloso di Gesù e il suo rimprovero ai discepoli. Nella terza parte (Mc 4,41) c’è la reazione dei discepoli di fronte al miracolo del loro Maestro. Essi, tuttavia, nella loro reazione hanno lasciato da parte completamente il rimprovero che Gesù aveva appena fatto a loro.

 

L’Esegesi

 

1. L’autorità di Dio sul mare è illustrata molto bene dalla prima lettura (Gb 38,1.8-11). Il miracolo della tempesta sedata, perciò, è una vera e propria teofania. Non essendo un miracolo soltanto, il fatto giustamente provoca nei discepoli la domanda cruciale: “Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?”. Più volte Gesù è stato oggetto di domande simili: “Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono! (Mc 1,27) oppure “Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani?” (Mc 6,2). È difficilissimo, se non impossibile, inquadrare Gesù nello schema “solo uomo”.

 

2. C’è qualche cosa di più. Il potere sovrano di Gesù sulla tempesta viene illustrato dall’evangelista con due verbi: “epitimào” (intimare, sgridare) e “fimòo” (mettere la museruola, far tacere). Marco adopera ancora questi due verbi quando narra l’esorcismo dell’uomo posseduto. Alcuni autori deducono che per Marco il lago in tempesta è simbolo delle potenze demoniache nemiche del Regno. Gesù ha potere su di loro perché egli è colui che entra in casa dell’uomo forte (il demonio) per “rapire i suoi beni” e gli saccheggerà la casa (Mc 3,27).

 

3. Il Nuovo Testamento non dice che la “paura” sia negativa. A livello umano la paura ha il ruolo di salvaguardare la persona dalle situazioni pericolose. Quando però la paura è legata alla fede (paura di essere cristiani in un mondo che non apprezza il cristianesimo o addirittura lo perseguita), allora è qualche cosa di negativo. Gesù ebbe paura nel Getsemani: “Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia” (Mc 14,33). Ai sentimenti non si comanda. Emergono quando vogliono. Ma i sentimenti, si possono orientare. Ed è questo che Gesù ha fatto nel Getsemani. Ha scelto, attraverso la preghiera, di fidarsi della volontà di Dio, abbandonando le spinte della paura e dell’angoscia.

 

4. In greco il vocabolo “deiloi”, che significa “vili”, “paurosi”, compare nel Nuovo Testamento solo tre volte e sempre al plurale (Mt 8,26; Mc 4,40; Ap 21,8). Indica i discepoli che non hanno fede in Gesù nel momento del pericolo e le persone che non meritano il paradiso (Ap 21,8: “Ma per i vili (=deiloi) e gli increduli, gli abietti e gli omicidi, gli immorali, i maghi, gli idolatri e per tutti i mentitori è riservato lo stagno ardente di fuoco e di zolfo. Questa è la seconda morte”). I discepoli di Gesù hanno ricevuto da Dio uno spirito di forza, di carità e di prudenza: “Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza (in greco: “pnèuma deilìas” = spirito di viltà, spirito di paura) , ma di forza, di carità e di prudenza” (2 Tm 1,7).

 

Il Contesto Liturgico

 

1. La prima lettura (Gb 38,1.8-11) è un breve brano del primo lungo discorso di Yhwh a Giobbe (Gb 38,1-40,2). Dio vuol dimostrare a Giobbe che il Signore è molto più intelligente di Giobbe e, quindi, Giobbe, pur essendo nella sofferenza e sapendo che Dio gli vuol bene, è chiamato a fidarsi di Dio. Il brano si lega tematicamente molto bene con l’atteggiamento dei discepoli nell’episodio evangelico. La Colletta propria traduce in preghiera questa visione biblica e dice: “Rendi salda…la fede…perché…non ci abbattiamo nelle tempeste, ma in ogni evento riconosciamo che tu sei presente e ci accompagni nel cammino della storia”.