Una ricorrenza fondante

Ipse dixit: il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha parlato. Lo ha fatto pacatamente, con quella schiettezza che è incontestabile poiché radicata alla verità storica. Le sue parole non pacificheranno forse tutti gli animi eppure, proprio perché adese ai fatti, sarebbe auspicabile si facessero, nei pensieri degli italiani, punto fermo, boa di saggezza cui aggrapparsi nel mare agitato di correnti, fazioni e sfinenti commenti social che sanno far traballare le barchette del pensiero comune, spinte dal vento della boria ideologica più che dalla sudata forza a remi che viene dalla sapienza storica.

Ipse dixit: il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha parlato. Lo ha fatto pacatamente, com’è nel suo stile, con quella schiettezza che è incontestabile poiché radicata alla verità storica. Le sue parole non pacificheranno forse tutti gli animi eppure, proprio perché adese ai fatti, sarebbe auspicabile si facessero, nei pensieri degli italiani, punto fermo, boa di saggezza cui aggrapparsi nel mare agitato di correnti, fazioni e sfinenti commenti social che sanno far traballare le barchette del pensiero comune, spinte dal vento della boria ideologica più che dalla sudata forza a remi che viene dalla sapienza storica.

La cerimonia del 25 aprile a Civitella in Val di Chiana –  borgo toscano, emblematico tempio di una delle cinquemila stragi nazifasciste freddamente premeditate contro i civili allo scopo di allontanarli dall’aderire alla Resistenza e quindi finalizzate a seminare il terrore all’insegna del macabro motto Unus castigabis, centum emendabis – è stata molto più dell’istituzionale celebrazione di una ricorrenza nazionale: piuttosto una pagina da mostrarsi ai ragazzi nelle scuole, tanto per le parole del Presidente quanto per la forza delle testimonianze dirette, come quella di Ida Balò, o dei racconti dei tremendi eccidi vissuti da chi era allora ragazzino e ragazzina. Resoconti inattaccabili da distorsioni a posteriori, veri quanto le lacrime che ancora, a ottant’anni dai fatti del ’44, rigano i volti anziani dei testimoni. Per questo, per commossa e rispettosa presa di coscienza, ha senso riportare le parole del Presidente Mattarella, che hanno dato luce a quell’Italia di soldati e cittadini, vittime e martiri: “Una lunga scia di sangue ha accompagnato il cammino dell’Italia verso la Liberazione – ha dichiarato -. Il sangue dei martiri che hanno pagato con la vita le conseguenze terribili di una guerra ingiusta e sciagurata… Generazioni di giovani italiani, educati fin da bambini al culto infausto della guerra e dell’obbedienza cieca e assoluta, erano stati mandati, in nome di una pretesa superiorità nazionale, ad aggredire con le armi nazioni vicine… Il fascismo aveva scoperto il suo volto, svelando i suoi veri tratti brutali e disumani…”. Da questa presa di coscienza collettiva: “Nasceva la Resistenza, un movimento che, nella sua pluralità di persone, motivazioni, provenienze e spinte ideali, trovò la sua unità nella necessità di porre termine al dominio nazifascista sul nostro territorio, per instaurare una convivenza nuova, fondata sul diritto e sulla pace”.

Il Presidente ha ricordato “l’eroica Resistenza di seicentomila militari italiani che dopo l’8 settembre rifiutarono di servire la Repubblica di Salò, regime fantoccio instaurato da Mussolini” e che furono passati per le armi o mandati nei lager tedeschi, dove in cinquantamila morirono di stenti.

Ha ricordato “la Resistenza della popolazione, ribellatasi spontaneamente di fronte a episodi di brutalità e alle violenze, scrivendo pagine di eroismo splendido di natura civile”.

Ha ricordato la Resistenza come unità ritrovata in nome della ricerca della libertà dall’occupante tedesco e dall’alleato fascista: “In tutta la Penisola, nelle montagne e nelle zone di mare, si attivò spontaneamente, in quegli anni drammatici, la rete clandestina della solidarietà, del risveglio delle coscienze e dell’umanità ritrovata”.

Ha ricordato la Resistenza disarmata: “Fu la Resistenza civile, la Resistenza senza armi, un movimento largo e diffuso, che vide anche la rinascita del protagonismo delle donne, sottratte finalmente al ruolo subalterno cui le destinava l’ideologia fascista”. Un’ideologia che, citando Claudio Pavone (partigiano, archivista, docente universitario) non prevedeva la pietà: “Essere pietosi verso altri esseri umani era di per sé una manifestazione di antifascismo e di resistenza, quale che ne fosse l’ispirazione, laica o religiosa. Il fascismo aveva insita l’ideologia della violenza”.

Per tutte queste ragioni storiche il Presidente della Repubblica ha definito il 25 aprile “una ricorrenza fondante”, madre di tutti gli italiani, figlia della “liberazione dall’occupante nazista, da una terribile guerra, ma anche da una dittatura spietata che, lungo l’arco di un ventennio, aveva soffocato i diritti politici e civili, calpestato le libertà fondamentali, perseguitato gli ebrei e le minoranze, educato i giovani alla sacrilega religione della violenza e del sopruso”.

Se “La Resistenza, nelle sue forme così diverse, contribuì in misura notevole all’avanzata degli Alleati e alla sconfitta del nazifascismo” allora il 25 aprile è la “festa della pace, della libertà ritrovata e del ritorno nel novero delle nazioni democratiche. Quella pace e quella libertà che hanno prodotto la Costituzione repubblicana, in cui tutti possono riconoscersi, e che rappresenta garanzia di democrazia e di giustizia, di saldo diniego a ogni forma o principio di autoritarismo o totalitarismo”.

Ha quindi chiuso citando Aldo Moro e un principio alquanto difficile da applicare anche oggi, quando ancora su questa “ricorrenza fondante” l’Italia si divide e si schiera: “Intorno all’antifascismo è possibile e doverosa l’unità popolare, senza compromettere d’altra parte la varietà e la ricchezza della comunità nazionale, il pluralismo sociale e politico, la libera e mutevole articolazione delle maggioranze e delle minoranze nel gioco democratico”. Parole che vengono dal passato ma che devono ancor più disegnare il futuro del paese.