Ucraina. Mons. Ryabukha, vescovo sulla linea del fronte: “Non ho paura ma quello che vedo è disumano”

Visita di mons. Maksim Ryabukha, vescovo greco-cattolico residente a Zaporizhzhia, al Sir e alla Fisc. “Mi preoccupa - confida - il divieto di accesso a tutti gli organismi internazionali e di solidarietà come la Caritas lungo tutto il confine che si trova a 20 chilometri dai luoghi di combattimento. Significa che ci sono città fuori area di aiuto. Adesso non è il tempo di pensare ai rischi. Le uniche domande che ci facciamo in questo momento è come sostenere, accompagnare e supportare la vita”

“Non ho paura. Per me morire è solo la soglia tra questa vita e il paradiso. Non è la paura di morire che mi scuote ma la chiarezza dei passi che il male sta facendo. Quando guardo questa guerra, a tutto ciò che sta avvenendo sui territori di combattimento, la parola ‘disumano’ è troppo semplice per descrivere quello che subisce la nostra gente. Ci sono storie rispetto alle quali non riesco neanche a muovere la lingua per raccontare. Disumano è dire niente. È malefico, maligno, demoniaco”. Direttamente da Zaporizhzhia dove risiede, mons. Maksim Ryabukha, vescovo ausiliare dell’esarcato greco-cattolico di Donetsk, racconta cosa significa oggi essere “un vescovo sulla linea del fronte”. Il suo esarcato comprende le regioni di Lugansk, Donetsk, Zaporizhzhia e Dnipro. Nomi di una cartina geografica fino a qualche tempo fa sconosciuti, oggi purtroppo entrati nelle cronache perché si trovano sulla linea del combattimento. In visita a Roma, il vescovo ha incontrato i giornalisti del Sir e ha portato la sua testimonianza anche al Consiglio esecutivo della Fisc, la Federazione dei settimanali cattolici italiani. “Mi preoccupa – confida – il divieto di accesso a tutti gli organismi internazionali e di solidarietà come la Caritas lungo tutto il confine che si trova a 20 chilometri dai luoghi di combattimento. Significa che ci sono città fuori area di aiuto”.“Adesso non è il tempo di pensare ai rischi. Le uniche domande che ci facciamo in questo momento è come sostenere, accompagnare e supportare la vita”.

“La situazione sta peggiorando”, racconta mons. Ryabukha. “I russi stanno prendendo di mira non solo obiettivi militari. Colpiscono i civili e le infrastrutture. L’80% delle fonti energetiche in Ucraina sono state distrutte o rovinate. Da religioso, mi chiedo: di umanità è rimasto qualcosa nei cuori del popolo russo? In guerra non esistono situazioni semplici, noto però una distruzione sempre più massiccia”. Il vescovo racconta le sue missioni a sostegno della popolazione anziana e malata rimasta nelle case e a fianco dei militari. È un fiume di storie: i viaggi sui van carichi di aiuti umanitari, i passaggi ai check point, le messe celebrate in inverno sul fronte a 23 gradi sotto zero e in trincee ricoperte da teli neri per nascondersi dai droni.“Quello che stiamo combattendo – racconta mons. Ryabukha – è una guerra di libertà e civiltà. Dove passa la Russia, la morte è totale. Sui luoghi che la Russia sta occupando, sta facendo piazza pulita di tutto. La città di Bakhmut non esiste più, è un cumulo di macerie. È un dolore per me, come figlio del mio popolo”.

Visita di mons. Ryabukha al Sir (Foto Biagioni/Sir)

I soldati sul fronte non sono “solo” militari, ma “padri, figli, fratelli”. “Ne conosco molti”, confida il vescovo. “Hanno fatto la scelta di difendere la dignità umana nella propria terra”. Mons. Ryabukha afferma con convinzione che, anche se il comunismo ha strappato Dio al popolo ucraino, in guerra non ci sono “atei”. “Un giorno mi ha chiamato un giovane militare ventenne. Era appena scampato ad un bombardamento massiccio. Una scheggia gli ha sfiorato il naso, qualche centimetro più in là e sarebbe morto. Mi ha ringraziato delle preghiere. Padre, mi ha detto, è stato un miracolo!”. “Su chi possiamo fare riferimento?”, chiede il vescovo. “L’umanità ci guarda ma siamo troppo lontani. La gente legge le nostre notizie ma è interessata solo ai rincari dei prezzi del gas e del petrolio. Comprendi quanto siano preziose la dignità della vita umana e la libertà solo quando inizi a perderle”.

“Ho visto cosa è successo a Irpin e Bucha. Di vivo non era rimasto più nulla”.

Nei primi giorni di aprile, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha firmato una legge che abbassa l’età minima di leve da 27 anni a 25 anni. L’Ucraina ha bisogno di soldati. La guerra fa le sue vittime e c’è bisogno di leve nuove. Come reagiscono i ragazzi alla possibilità di partire per il fronte? “Pensare che siano contenti è folle”, risponde il vescovo salesiano. “Nessuno è contento di andare in guerra. È un dolore, un dramma umano”. E aggiunge: “Fino a che non c’è una solidarietà internazionale in grado di sostenere e difendere la vita, la vita sarà distrutta, passo dopo passo”.