La deriva di una sanità per censo

Parlano chiaro i dati del 21° Rapporto "Ospedali e salute": di fronte ai tempi troppo lunghi rispetto ad un problema di salute, o quando ci si imbatte nell’impossibilità di fissare un appuntamento, il 31% dei cittadini cambia regione (migranti sanitari); il 34,9% ricorre alla sanità a pagamento (privato puro o intramoenia ossia dentro al pubblico ma in regime di prestazione privata a pagamento); e ben il 42% dei cittadini meno abbienti (reddito fino a 15mila euro) nel corso del 2023 ha rinunciato del tutto alle cure

La deriva di una sanità per censo

SIMONETTA VENTURIN

  o dice il Censis e nessuno potrà smentirlo con sorrisetti sardonici o accuse di faziosità: il 42% dei pazienti meno abbienti rinuncia a curarsi. Inaccettabile in una nazione che fa parte e guida il G7. Duplice la ragione: da una parte liste d’attesa infinite, dall’altra l’alternativa offerta di cliniche private a costi proibitivi.

Non c’è lettore che possa dire non averlo sperimentato su di sè o in famiglia: un problema di salute, magari una priorità indicata dal medico di base – segno che il guaio c’è davvero ed è stato confermato da un esperto – la chiamata al Cup e il solito ventaglio di risposte: “Non ci sono posti, provi a richiamare, manca l’agenda, non ho la possibilità di indicarle la data”. Oppure ancora: priorità di 30-60 giorni che trovano sì una risposta ma molti mesi dopo il necessario. Un holter da fare in trenta giorni? Trova accoglienza alla vigilia di Tutti i Santi. Interventi di routine? Si propongono liste sine die nel pubblico o vengono suggerite soluzioni in un paio di mesi ma in cliniche private e a pagamento. La lista degli esempi è lunga e tocca vari reparti.

Così la rabbia copre il rammarico: stiamo perdendo quella eccellenza italiana che era la sanità per tutti, per scivolare – volenti o nolenti – verso una sanità a misura di tasca, che il citato rapporto non esita a definire “una sanità per censo”. Nessun demerito a chi c’è, e sgobba pure con passione, ma i tempi che i pazienti si sentono proporre non si addicono né all’efficienza né a una vera presa in carico del malato, ossia a quella cura che va oltre una scatola di pasticche ma si fa attenzione complessiva alla persona.

Nessun demerito a chi c’è, e sgobba pure con passione, ma i tempi che i pazienti si sentono proporre non si addicono né all’efficienza né a una vera presa in carico del paziente; a quella cura che va oltre una scatola di pasticche ma si fa presa in carico e attenzione complessiva alla persona.

Parlano chiaro i dati del 21° Rapporto “Ospedali e salute” – presentato il 27 marzo e Roma – col titolo “Reinventiamo il Servizio Sanitario. Come evitare la deriva di una Sanità per Censo”, promosso da Aiop (Associazione Italiana delle aziende sanitarie ospedaliere e territoriali e delle aziende socio-sanitarie residenziali e territoriali di diritto privato) e realizzato in collaborazione con il Censis. Dimostrano che non ci si rivolge al privato per mancanza di fiducia nel sistema sanitario nazionale (Ssn), ma soltanto perché nel pubblico stanno mancando risposte adeguate alle necessità di cura.

Il 47,7% degli utenti ha dimostrato di avere una percezione positiva del del Ssn e lo ha giudicato ottimo (8,7%) e buono (39%), ma le cose cambiano quando si va a verificarne la funzionalità circa i tempi di attesa. Di fronte ai tempi troppo lunghi rispetto ad un problema di salute, o quando ci si imbatte nell’impossibilità di fissare un appuntamento, il 31% dei cittadini cambia regione (migranti sanitari); il 34,9% ricorre alla sanità a pagamento (privato puro o intramoenia ossia dentro al pubblico ma in regime di prestazione privata a pagamento); e ben il 42% dei cittadini meno abbienti (reddito fino a 15mila euro) nel corso del 2023 ha rinunciato del tutto alle cure, mentre il 36,9% ha dovuto scegliere tra curarsi e altre necessità. E non curarsi oggi, purtroppo, significa alimentare i bisogni sanitari di domani. Non intervenire in modo adeguato significa non avere lo sguardo lungo né sulla salute dei cittadini contribuenti né sulle spese che lo stato dovrà sostenere domani. Certo, si sta parlando di maggiori risorse destinate ad assunzioni, prestazioni in convenzione anche con strutture private, rimborsi per chi è costretto a rivolgersi ai privati per l’assenza di risposta del pubblico. Nonostante l’impegno, viene però da pensare: chissà se così il sistema s’aggiusta.