Domenica 7 aprile, commento di don Renato De Zan

Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto

07.04.2024 – 2° di Pasqua

 

Gv 20,19-31

19 La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20 Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21 Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». 22 Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. 23 A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». 24 Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. 25 Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». 26 Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». 27 Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». 28 Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». 29 Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». 30 Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. 31 Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

 

Il Testo

 

1. La pericope biblica di Gv 20,19-31 e la formula evangelica sono identiche. Si tratta della parte finale del testo preredazionale del Vangelo di Giovanni. La formula è scandita in tre momenti. Nel primo (Gv 20,19-23) viene presentata la prima apparizione di Gesù ai suoi discepoli con relativa missione e potere di perdonare i peccati. Nel secondo momento (Gv 20,24-29) troviamo il ciclo di Tommaso, il discepolo “positivista” che voleva essere convinto della risurrezione del Maestro e al quale Gesù offre la possibilità richiesta dal discepolo. Ne scaturisce una formula di fede limpida e altissima. Il terzo momento (Gv 20,30-31) è costituito dalla prima conclusione del Vangelo (la seconda si trova in Gv 21,24-25).

 

2. Di tutto il testo della formula evangelica, la parte più importante è Gv 20,26-29 (ciclo di Tommaso). Ciò è dovuto a due fattori principali. Gv 20,26 inizia con la dicitura “Otto giorni dopo”. Il legame è evidente con Gv 20,19 dove la dicitura inziale dice “La sera di quel giorno, il primo della settimana”. L’espressione “otto giorni dopo” colloca l’episodio di Tommaso nella “domenica” successiva alla Pasqua (la presente domenica: la seconda di Pasqua). Si tratta di un testo evangelico in perfetta consonanza con il tempo (cronologico) liturgico. Ma c’è anche un secondo motivo. La confessione di fede di Tommaso è la più alta confessione di fede che il Nuovo Testamento registri. Non va dimenticato che è la confessione di fede di un “uomo moderno”: per credere vuole le prove.

 

L’Esegesi

 

1. Il testo evangelico si apre con il tema della gioia: “I discepoli gioirono al vedere il Signore”. La gioia fa da sfondo a due altri grandi temi: il duplice dono della pace e dello Spirito e l’invio in missione. Gesù augura lo “Shalom” (“La pace a voi”). La pace donata da Gesù non è la pace che gli uomini conoscono: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi” (Gv 14,27). La pace del Risorto è la “realizzazione” dell’uomo. Il dono della realizzazione consiste nel dare la capacità di oltrepassare la morte come Lui e di poter essere in profonda armonia con sé, con gli altri e con Dio. Gesù stesso è lo Shalom (cfr Ef 2,14: “Egli infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia”). Il dono dello Spirito viene dato a persone che sanno come la realizzazione corra sulla strada di un buon rapporto che se stessi con Dio e con il prossimo. Il perdono dei peccati, infatti, è finalizzato a questa realizzazione.

 

2. In Gv 20,19-31, l’evangelista non accenna al fatto che Gesù non era riconoscibile in modo immediato. Lo aveva già lasciato intendere poco prima, nell’episodio di Maria Maddalena (Gv 20,11-18). Giustamente Mc 16,12 dice che Egli appariva “sotto altro aspetto” (“en etèra morfé”). Per questo motivo è importantissimo l’episodio di Tommaso. Tommaso è l’apostolo al bivio. Egli può scegliere di credere come i suoi colleghi, vedendo il Risorto. Può anche credere, accogliendo la loro testimonianza (“La fede dipende dunque dalla predicazione e la predicazione a sua volta si attua per la parola di Cristo”: Rm 10,17). Tommaso ha voluto “esperimentare” per credere. Poi di fatto nemmeno tocca le piaghe di Gesù. Egli è l’antesignano di tutti quei credenti che hanno bisogno di un fondamento razionale per fare il salto della fede. Gesù è il crocifisso. Ha le piaghe del supplizio. È Lui, Risorto.

 

3. Il vangelo è un libro storico, ma non ha finalità storiografiche. Lo scopo del Vangelo non è la biografia di Gesù né la completezza delle informazioni su di Lui e neppure una sintesi del “Gesù-pensiero”. Il vangelo è una testimonianza. È un libro che raccoglie fatti e parole di Gesù che possano generare nel lettore la scelta di fede nel Signore, Messia e Figlio di Dio, per avere la vita eterna.

 

Il Contesto Liturgico

 

1. Un po’ di nomenclatura e di teologia. Il tempo che dal giorno di Pasqua arriva a Pentecoste era la chiamato “continuata festivitas – festa ininterrotta” o il “laetissimum spatium – spazio gioiosissimo” (epoca patristica) Questi cinquanta giorni erano considerati un unico grande giorno di festa. Tutti questi giorni avevano la dignità del giorno di domenica. Per questo motivo la Cinquantina di Pasqua era considerata la “Grande domenica”. Nelle lettere festali di S. Atanasio si afferma che il tempo che va da Pasqua a Pentecoste è un tempo che va da domenica a domenica con un processo di giorni rispondente al seguente calcolo 7 x 7 + 1. Come dire, la perfezione elevata all’infinito. La domenica successiva alla Pasqua è stata chiamata con diversi nomi. Vediamone alcuni: “ottava di Pasqua” (ai tempi di Agostino), “Dominica in albis” (Gregorio Magno), “domenica di Tommaso” (lettera festale di S. Atanasio), “Dominica in albis in octava Paschae” (Messale del 1962), “Dominica secunda Paschae” (Messale di Paolo VI), “Dominica II Paschae seu de divina Misericordia” (Messale di PaoloVI-Giovanni Paolo II).