Udienza di papa Francesco di mercoledì 6 marzo: Preghiamo per la pace

Il Papa non ha letto la catechesi dell'udienza di oggi, dedicata alla superbia, a causa del perdurare del raffreddore, come ha spiegato lui stesso ai fedeli. Al termine, l'ennesimo appello per la pace in Ucraina, in Terra Santa e nelle altre parti del mondo insanguinate dalla guerra

“Ancora sono raffreddato e non posso leggere bene”. Con queste parole Papa Francesco, all’inizio dell’udienza di oggi, ha affidato la lettura della catechesi, preparata per l’occasione e incentrata sul vizio della superbia, a don Pierluigi Giroli. È’ stato lo stesso Pontefice, quindi, ad informare direttamente i fedeli del perdurare del suo raffreddore, nonostante il quale è tornato a tenere l’udienza generale in piazza San Pietro, ospitando sulla jeep bianca scoperta – come è ormai consuetudine – quattro bambini. Al termine della catechesi e dei saluti nelle altre lingue, il Santo Padre ha ripreso la parola, durante i saluti ai fedeli di lingua italiana. “Ancora una volta, fratelli e sorelle, rinnovo il mio invito a pregare per le popolazioni che soffrono l’orrore della guerra in Ucraina e in Terra Santa, come pure in altre parti del mondo”, ha detto: “Preghiamo per la pace, chiediamo al Signore il dono della pace”.

“Di tutti i vizi, la superbia è gran regina”, scrive il Papa nel testo preparato per l’udienza di oggi. “Non a caso, nella Divina Commedia, Dante la colloca proprio nella prima cornice del purgatorio”, fa notare Francesco: “Chi cede a questo vizio è lontano da Dio, e l’emendazione di questo male richiede tempo e fatica, più di ogni altra battaglia a cui è chiamato il cristiano”. L’identikit del superbo è dettagliata: “Il superbo è uno che pensa di essere molto più di quanto sia in realtà; uno che freme per essere riconosciuto più grande degli altri, vuole sempre veder riconosciuti i propri meriti e disprezza gli altri ritenendoli inferiori”. Il vizio della superbia, per il Papa, è “molto prossimo a quello della vanagloria”, ma “se la vanagloria è una malattia dell’io umano, essa è ancora una malattia infantile se paragonata allo scempio di cui è capace la superbia. Analizzando le follie dell’uomo, i monaci dell’antichità riconoscevano un certo ordine nella sequenza dei mali: si comincia dai peccati più grossolani, come può essere la gola, per approdare ai mostri più inquietanti”. “Dentro questo male si nasconde il peccato radicale, l’assurda pretesa di essere come Dio”, l’analisi del Papa: “Il peccato dei nostri primogenitori, raccontato dal libro della Genesi, è a tutti gli effetti un peccato di superbia. Dice loro il tentatore: ‘Quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio’”.

“C’è poco da fare con una persona ammalata di superbia”, assicura Francesco: “È impossibile parlarle, tantomeno correggerla, perché in fondo non è più presente a sé stessa. Con essa bisogna solo avere pazienza, perché un giorno il suo edificio crollerà”. Bergoglio cita un proverbio italiano – “La superbia va a cavallo e torna a piedi” – e spiega come la superbia “rovini i rapporti umani”, ed “avveleni quel sentimento di fraternità che dovrebbe invece accomunare gli uomini”. È lunga la lista di sintomi che rivelano il cedimento di una persona al vizio della superbia: “È un male con un evidente aspetto fisico: il superbo è altero, ha una ‘dura cervice’, cioè, ha un collo rigido, che non si piega. È un uomo facile al giudizio sprezzante: per un niente emette sentenze irrevocabili nei confronti degli altri, che gli paiono irrimediabilmente inetti e incapaci. Nella sua supponenza, si dimentica che Gesù nei Vangeli ci ha assegnato pochissimi precetti morali, ma su uno di essi si è dimostrato intransigente: non giudicare mai. Ti accorgi di avere a che fare con un orgoglioso quando, muovendo a lui una piccola critica costruttiva, o un’osservazione del tutto innocua, egli reagisce in maniera esagerata, come se qualcuno avesse leso la sua maestà: va su tutte le furie, urla, interrompe i rapporti con gli altri in modo risentito”.

“Approfittiamo di questa Quaresima per lottare contro la nostra superbia”, l’invito finale: “La salvezza passa per l’umiltà, vero rimedio ad ogni atto di superbia. È inutile rubare qualcosa a Dio, come sperano di fare i superbi, perché in fin dei conti lui ci vuole donare tutto”.