L'Editoriale
Pace: urgente esercizio di realismo
il presidente Mattarella, mettendo a tacere il facile mormorio che declassa e svilisce la pace ha dichiarato: "Parlare di pace, oggi, non è astratto buonismo. Al contrario, è il più urgente e concreto esercizio di realismo, se si vuole cercare una via d’uscita a una crisi che può essere devastante per il futuro dell’umanità”. Una pace urgente: figlia non di speranze e auspici ma delle “volontà dei governi”.
Pace: urgente
esercizio
di realismo
Simonetta Venturin
Se il buongiorno si vede dal mattino, sul fronte della pace il 2024 non comincia bene: gli scenari di guerra invece che spegnersi rischiano di crescere. L’Ucraina è in difficoltà contro la Russia di Putin e Zelensky attende da dicembre i finanziamenti promessi ma bloccati sia negli Usa (66 miliardi di euro) che nell’Ue (55). Tra Israele e Hamas non si parla né di accordi di pace né di cessate il fuoco, anzi il premier israeliano Netanyahu ha dichiarato che nella Striscia di Gaza la guerra durerà molti più mesi di quanto inizialmente previsto, fin tanto che Hamas non rappresenterà più una minaccia.
Come se non fosse già troppo, altri gravi tensioni infiammano il Medio Oriente. In Iran a causa dell’esplosione di due bombe accanto al mausoleo del generale Soleimani (provocata quattro anni fa da un raid americano) sono morte oltre cento persone e ne sono rimaste ferite il doppio. Teheran ha messo in guardia Usa e Israele, considerati dapprima i mandanti dell’attentato e, anche se successivamente l’Isis lo ha rivendicato, l’allarme non è rientrato. Anzi, si spalancano inquietanti interrogativi riguardo a nuove modalità di guerra, da fare prima ancora che da dichiarare, con atti di terrorismo che prendono di mira i civili in azioni circoscritte ma sanguinose.
Anche l’uccisione del numero due di Hamas, Saleh al-Arouri, da parte delle forze armate israeliane a Beirut (Libano), alimenta il rischio di allargamento del conflitto: il capo di Hezbollah, Hasan Nasrallah, ha minacciato Israele promettendo una risposta. Tutta l’ampia area che va da che va da Israele, Libano, Cisgiordania, Iran è a tal punto sotto pressione che la Forza di interposizione delle Nazioni Unite (Unifil) schierata al sud del Libano con oltre 9mila soldati, anche italiani, ha manifestato profonda preoccupazione: gli esiti di una guerra diffusa sarebbero devastanti. Il momento è dunque estremamente delicato: un quadro nero dove la bianca colomba della pace è fragile. Fragile e sola.
Chi, infatti, la cerca incessantemente? Nel nostro paese sono due le voci che la acclamano: il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e papa Francesco.
Il papa ne è il primo e più convinto portavoce nel mondo: dal 24 febbraio 2022 – giorno d’inizio dell’invasione dell’Ucraina – non l’ha più tolta dall’angelus, dai messaggi, dai discorsi e anche nella prima udienza del 2024 (3 gennaio) ha ribadito che “la guerra è una follia”, così come il 6 e 7 gennaio ha invitato a “pregare per la pace in Medio Oriente, in Palestina, in Israele, in Ucraina, in tutto il mondo”, dimostrandosene sostenitore convinto e inserendosi nel solco dell’operato dei papi precedenti e delle loro encicliche: dalla Pacem in terris di Giovanni XXIII (1963) – figlia del coinvolgimento diretto del pontefice nel disinnescare una guerra quasi dichiarata tra Usa e Urss -, alla Gaudium et Spes di Paolo VI (1965) dove ampio spazio (cap. V) è dedicato alla promozione della pace tra le nazioni e dove si legge che “ogni guerra, che mira indiscriminatamente alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto contro dio e contro la stessa umanità e va condannata con fermezza s senza esitazioni” (paragrafo 80).
Non diversamente Mattarella, pur nel suo ruolo laico di presidente della Repubblica e di saggia guida della nazione, nel discorso di fine anno del 31 dicembre ha dedicato ampio spazio alla violenza, parlando di guerra e di pace. Della prima ha ricordato la sequela di figli postumi, incarnati dai lunghi e sanguinari strascichi di odio che restano nelle popolazioni e tra le nazioni, sottolineando che “la guerra non nasce da sola, nasce da quello che c’è negli animi degli uomini”: odi, affari legati alle armi, sete di potere che nasce dal ritenere l’altro un nemico subordinato e subordinabile. Per invocare la seconda – la pace – ha introdotto il principio della indispensabilità di “fare spazio alla cultura della pace. Alla mentalità della pace”. E, mettendo a tacere il facile mormorio che la declassa e la svilisce, ha precisato che “parlare di pace, oggi, non è astratto buonismo. Al contrario, è il più urgente e concreto esercizio di realismo, se si vuole cercare una via d’uscita a una crisi che può essere devastante per il futuro dell’umanità”. Una pace urgente nei tempi e molto concreta nei modi: figlia non di speranze e auspici ma delle “volontà dei governi”.
A dispetto di quel che sembra, è la pace la vera vittoria. E lo è per tutti. La voce universale della Chiesa lo ricorda instancabilmente, cercando da una parte il dialogo con le parti in gioco, dall’altro di condividere questo cammino con le altre fedi e religioni. Perché una pace è raggiungibile – citando ancora Mattarella – se si considerano “queste guerre una eccezione da rimuovere e non la regola per il prossimo futuro”. Del resto, non è forse la pace l’auspicio di sempre, la parola d’augurio e speranza più scambiata ad ogni inizio d’anno?