Domenica 5 novembre, commento di don Renato De Zan

Discepoli di un solo Maestro, figli di un solo Padre

05.11.2023 – 31° domenica del T.O – A

 

Mt 23,1-12

In quel tempo, 1 Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli 2 dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. 3 Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. 4 Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. 5 Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; 6 si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, 7 dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente. 8 Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. 9 E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. 10 E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. 11 Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; 12 chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato.

 

Il Testo

 

1. La pericope biblica e la formula liturgica del vangelo coincidono, fatto salvo per il normale incipit liturgico (“In quel tempo”) che sostituisce l’avverbo “allora” del testo originale. A livello letterario il testo si può suddividere in tre parti facilmente individuabili. La prima (Mt 21,1-7) è dominata dal pronome di terza persona plurale (essi) e illustra chi siano gli scribi e i farisei con l’avvertimento ai discepoli di non imitarli (v. 39). La seconda parte (Mt 21,8-10) inizia con un’avversativa (“Ma voi…”) e prosegue con il pronome personale di seconda plurale (voi) e illustra chi sia il vero Maestro (Gesù), il vero Padre (Dio Padre), la vera Guida (il Cristo). La parte conclusiva (Mt 23,11-12) ha un sapore sapienziale-proverbiale.

 

2. La prima parte (Mt 23,1-7) si suddivide a sua volta in due momenti. Il primo (Mt 23,1-4) è dominato dall’espressione “dicono e non fanno”, mentre il secondo (Mt 23,5-7) è dominato dall’espressione “fanno per essere ammirati dagli uomini”. La seconda parte è un’unità compatta scandita da tre frasi parallele (“Non fatevi chiamare….., perché…”). La conclusione (Mt 23,11-12), come la prima parte, si suddivide in due parti. Nella prima (Mt 23,11) Gesù rovescia in modo radicale il concetto di primeggiare (vedi gli scribi e i farisei), indicando il servizio come termine comparativo dell’essere il “più grande”. Nella seconda parte (Mt 23,12) propone un proverbio per antitesi: l’uomo che si esalterà, sarà umiliato (il passivo teologico sottintende “da Dio”), mentre l’uomo che sceglie di vivere con un profilo di umiltà, sarà esaltato (“da Dio”).

 

L’Esegesi

 

1. Più volte Gesù ha avuto parole dure nei confronti degli scribi e dei farisei. Basti ricordare le sette invettive che compaiono subito dopo questo episodio: “Scribi e farisei ipocriti…” (Mt 23,13-29). Nella nostra formula Gesù enuncia tre accuse: i responsabili del popolo si sono collocati al posto di Mosè (perché hanno soppiantato la Legge di Mosé – che è Parola di Dio – con le loro regole); scribi e farisei insegnano bene, ma si comportano male; il loro agire è orientato al sembrare, non all’essere, perché vogliono a tutti i costi essere riveriti come “rabbi”.

 

2. L’evangelista ricorda e scrive ciò che è importante e necessario per la sua comunità. Nella comunità di Antiochia, dove Matteo scrive il suo vangelo, i responsabili amavano farsi chiamare rabbi, padre e guida. Il problema non sta nel nome, ma nella pretesa di sostituirsi all’autorità di Gesù (come gli scribi e i farisei si erano seduti sulla cattedra di Mosè). Gesù è l’unico Maestro e Guida e Dio è l’unico Padre. “Voi siete tutti fratelli”: disse Gesù. Il Maestro richiama a un principio semplice. Tutti i cristiani sono “discepoli” (imitatori) di Gesù. Nessuno nega carismi e ministeri presenti nella comunità cristiana e nessuno nega la gerarchia già indicata da Paolo: “Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi ci sono….”(1Cor 12,28). Ma l’autorità nella Chiesa non può essere gestita come viene gestita l’autorità delle nazioni: “Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore…”(Mc 10,42-43).

 

Il Contesto Liturgico

 

1. Il testo eclogadico della prima lettura (Ml 1,14b-2,2.8-10) è una durissima reprimenda che Dio compie nei confronti del mondo ebraico e, in modo particolare, nei confronti dei sacerdoti, quali responsabili del popolo. Ciò succedeva nel sec. V a.C., succedeva ai tempi di Gesù e purtroppo succedeva anche nella Chiesa di Antiochia. Conosciamo in parte questo modo scorretto di gestire la responsabilità nella Chiesa di Antiochia da un breve brano di 1Pt 5,1-4 (che non trattava direttamente di Antiochia): “Esorto gli anziani che sono tra voi…: pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non per forza ma volentieri secondo Dio; non per vile interesse, ma di buon animo; non spadroneggiando sulle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge. E quando apparirà il pastore supremo, riceverete la corona della gloria che non appassisce”.

 

2. Per un approfondimento: Fabris R., Matteo, Commenti biblici, Borla, 1982, 463-469Il vangelo di Matteo. Parte seconda, Commentario teologico del N. T., Paideia, Brescia 1991, 398-411Il vangelo di Matteo, Collana Biblica, Ed. Dehoniane, Roma 1995, 534-543Matteo 3, Commentario Paideia . Nuovo Testamento, Paideia, Brescia 2013, 367-398.