Che fine ha fatto l’uomo?

Che fine ha fatto l’uomo? Dalla Russia e Ucraina ad Israele e Palestina, senza tralasciare tutte le guerre di cui nemmeno ci preoccupiamo perché distanti da noi e quindi non preoccupanti se il loro decorso non intacca le nostre vite e le nostre economie. Si resta attoniti davanti alla ferocia, al gioco al rialzo senza freni, alla sete di vendetta, dell’altrui sangue, delle altrui sofferenze.

Mentre notizie sempre più gravi di massacri, atti di terrorismo e guerra arrivano da più parti del mondo c’è da chiedersi che fine abbia fatto l’uomo, come seguaci del vecchio Diogene, che andava in giro in pieno giorno con una lanterna accesa, cercandolo. Non è questo un inutile e stucchevole esercizio di retorica, semmai è l’ammissione di tutto lo sconcerto e lo smarrimento che vengono dal susseguirsi di atti di violenza inaudita che vanno infiammando paesi e cuori.

Che fine ha fatto l’uomo? Dalla Russia e Ucraina ad Israele e Palestina, senza tralasciare tutte le guerre di cui nemmeno ci preoccupiamo perché distanti da noi e quindi non preoccupanti se il loro decorso non intacca le nostre vite e le nostre economie. Si resta attoniti davanti alla ferocia, al gioco al rialzo senza freni, alla sete di vendetta, dell’altrui sangue, delle altrui sofferenze.

Quel sogno di pace che la seconda guerra mondiale aveva lasciato in eredità era stato pagato col prezzo carissimo di 45 milioni di morti: 25 milioni di civili, 14 milioni di militari e 6 di ebrei. Nessuno aveva immaginato che quella lezione avesse una data di scadenza, oltre la quale non sarebbe servita più. E nessuno avrebbe voluto che il terrore, che allora aveva il simbolo della croce uncinata e il nome di nazismo, potesse tornare con altri segni e altri nomi: Isis, Hamas, Boko Haram e chissà quali altri ancora.

Dopo i naufraghi spiaggiati e indesiderati, dopo le atrocità di Bucha e Mariupol, le stragi di Israele – di ragazzi in festa, famiglie nel sonno delle loro case, bambini nelle culle – e quella annunciata di Gaza tra i palestinesi e poi ancora tra gli israeliani quando a loro volta questi risponderanno in un rimbalzo di morte che, se non sa fermarsi neppure davanti a un neonato, è difficile immaginare di fermare.

Eppure c’è chi ci sta provando. Il cardinale Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei Latini, ha lanciato il suo appello di pace proponendo una giornata di digiuno e preghiera (“In questo momento tutto sembra parlare di morte ma noi non vogliamo restare inermi. Per questo sentiamo il bisogno di pregare…”). Il Segretario di Stato Vaticano Parolin, in visita alla ambasciata israeliana, ha reso noto che “la Santa Sede è pronta a qualsiasi mediazione necessaria”. Il papa stesso ha ribadito all’angelus di domenica 15 ottobre “Basta guerra”, mentre a livello internazionale si spinge per la salvezza dei civili – gli ostaggi israeliani e i palestinesi della striscia di Gaza –  e anche il presidente palestinese Abu Mazen ha dichiarato: “Urge una politica per la pace”.

La carneficina si deve fermare: morte chiama morte e, per dirla con una dichiarazione della cantante israeliana yemenita Noa, impegnata da tempo per la pace nella sua terra divisa: “Occhio per occhio ci renderà ciechi”.

Mentre gli uomini uccidono e comandano reciproche stragi Noa, da israeliana, ha profuso parole di pace e di saggezza. Lei che condanna le uccisioni degli israeliani come le peggiori dalla shoah ad oggi ma sa tenere la rabbia lontana e distinta dal dolore e non concepisce di fare altrettanto al popolo palestinese, perché – sostiene – Hamas non rappresenta il popolo palestinese. Lei, che ha cantato più volte insieme a palestinesi – anche all’Eurovision del 2009 con Mira Awad – crede ancora che una pace sia possibile: “Continuo a credere che esista una soluzione pacifica alla nostra situazione, appoggiandosi alla maggioranza che vuole vivere in pace. Possiamo e dobbiamo vivere fianco a fianco. Due Stati per due popoli. Altrimenti, il circolo della morte e della sofferenza continuerà” (da Avvenire di sabato 14 ottobre).

E’ la stessa posizione manifestata dal cardinale Parolin per la Santa Sede che, ha dichiarato, ritiene valida la soluzione di “due popoli due stati”, prevista dalla Comunità internazionale ma sentita da molti di entrambe le parti non più realizzabile. Ciononostante “la Santa Sede è convinta del contrario e continua a sostenerla”.

Sono voci che devono trovare chi le ascolta e le metta al più presto in pratica, purtroppo al momento pare impresa assai ardua.

Dov’è quindi l’uomo se ha perso l’umanità, se sa camminare solo sulla scia insanguinata dell’odio e della vendetta? Se non ascolta gli appelli di pace della politica né delle chiese; se rimuove dai ricordi e dalla coscienza quello che gli occhi di ciascuno hanno visto troppe volte, in un infinito promemoria di conflitti, ovvero che, in qualunque parte del mondo la guerra porta solo morte, devastazione e rancori lunghi molte generazioni? Dov’è l’uomo se non depone le armi neppure davanti alla morte annunciata di tanti suoi figli?