L'Editoriale
Migranti: il controcanto
A volerlo ascoltare c’è un controcanto al gran parlare attorno ai migranti: è quello dei racconti di chi ha vissuto la detenzione in Libia o ha percorso i chilometri e le umiliazioni della rotta balcanica, di chi ha raccontato da giornalista e di chi ha raccolto piccole storie di solidarietà e riscatto, tanto rare da trovare, annegate anch’esse in un mare di slogan e di parole come stanziamenti, respingimenti, blocchi.
A volerlo ascoltare c’è un controcanto al gran parlare attorno ai migranti: è quello dei racconti di chi ha vissuto la detenzione in Libia o ha percorso i chilometri e le umiliazioni della rotta balcanica, di chi ha raccontato da giornalista (da Nello Scavo di Avvenire a Sally Hayden, un’olandese ospite di Pordenonelegge con suo libro reportage), e di chi ha raccolto piccole storie di solidarietà e riscatto, tanto rare da trovare, annegate anch’esse in un mare di slogan e di parole come stanziamenti, respingimenti, blocchi.
Da anni Scavo denuncia la situazione di detenzione disumana che i migranti subiscono in Libia. Lo ha scritto in articoli e libri (“A casa loro”, “L’orizzonte di notte non esiste” o “Libyagate”), riportando storie incredibili se non fossero provate dalle testimonianze di chi è scampato ai massacri e al mare. In “Libyagate” scrive: “All’Ucraina l’Italia invia armi. Anche alla Libia. Nel primo caso per sostenere l’esercito che combatte l’aggressione di Mosca. Nel secondo, per impedire a profughi e migranti di raggiungere le nostre coste”.
Ma i migranti ripescati e ricacciati indietro, che fine fanno? E’ quello che invece si è chiesta l’altra giornalista citata, Sally Haiden, autrice del volume: “E la quarta volta siamo annegati. Sul sentiero di morte che porta al Mediterraneo” (parte dei proventi vanno a iniziative a sostegno di migranti). Cosa accade delle 122mila persone che, in media, vengono bloccate in mare dai guardiacoste libici – da noi pagati a tal fine – e riportate, come in un eterno gioco dell’oca, al punto di partenza? Concentrate in campi o cacciate fuori dai confini libici, spariscono dall’orizzonte e dagli interessi: conta che non siano al di qua del Mediterraneo. Il suo libro nasce da un appello ricevuto nel 2018 da uno dei centri libici: lei ha risposto ed è cominciato il suo viaggio di conoscenze ed esperienze in Africa, dove si è recata più volte (Libia, Eritrea, Sudan) per incontrare, ascoltare, documentare quanto le veniva detto. Un controcanto di dura lettura che difficilmente avrà l’onore della prima serata in tv. Ma come lei stessa ha dichiarato: “Tutto questo avviene nel nome degli europei e io, europea, volevo sapere e volevo che tutti sapessero cosa accade”. E ancora: “Non sono un’attivista, sono una giornalista. Voglio raccontare quello che accade. Noi non siamo informati, non sappiamo bene come si traducano nel concreto le scelte politiche, i patti con nazioni pagate per trattenere i migranti”. Lei stessa ha subito minacce di morte ma il suo libro, che ha vinto numerosi premi e suscitato scalpore, è una testimonianza di crimini figli anche delle politiche migratorie europee e verrà usato come prova dei crimini contro l’umanità commessi a danno dei migranti.
Forse la via cinematografica avrà più eco di 450 pagine di inchiesta: il film “Io capitano” di Matteo Garrone, che racconta il viaggio e le tribolazioni di due giovani migranti, è appena stato segnalato per concorrere agli Oscar.
In Italia, a fare da contrappunto alla intricata questione migranti restano salde due voci. Una è quella di papa Francesco che da Marsiglia ha definito l’umanità giunta al bivio tra fraternità e indifferenza. L’altra è quella di Mattarella che il 21 settembre, mentre la Corte di giustizia Ue bocciava i respingimenti francesi dei migranti a Ventimiglia, dalla sua Sicilia – senza scendere nel merito delle scelte di governo – ha scandito chiaramente: “Non muri, ma soluzioni europee” e ha chiesto a Bruxelles “soluzioni nuove e coraggiose e non superficiali e approssimative”.