La guerra del grano

Sembra un tema antico invece è drammaticamente attuale: una parte di mondo rischia la fame per la mancanza di grano. Nei giorni scorsi per bocca del ministro degli esteri, Lavrov, la Russia ha annunciato che mancano le condizioni per rinnovare l’accordo per l’esportazione del grano ucraino. L’accordo era stato siglato lo scorso anno a luglio e, dopo una serie di proroghe, è in scadenza il 17 di questo mese.

Sembra un tema antico invece è drammaticamente attuale: una parte di mondo rischia la fame per la mancanza di grano. Nei giorni scorsi per bocca del ministro degli esteri, Lavrov, la Russia ha annunciato che mancano le condizioni per rinnovare l’accordo per l’esportazione del grano ucraino. L’accordo era stato siglato lo scorso anno a luglio e, dopo una serie di proroghe, è in scadenza il 17 di questo mese.Una delle prime conseguenze dell’invasione russa dell’Ucraina era stata il blocco delle esportazioni: milioni di tonnellate di grano ucraino rimasero per mesi in attesa del permesso di uscire con le navi dai porti. Anche i paesi destinatari rimasero ugualmente in attesa: la mancanza dei rifornimenti rischiò di affamare nazioni già in difficoltà come Tunisia, Egitto, Libia, Pakistan; rivolte si ebbero in Nigeria e Sudan perché poco grano e prezzi alti sono una combinazione nefasta.Nel 2021, prima dell’invasione russa, il grano ucraino aveva sfamato 400 milioni di persone nel mondo. Averlo è questione di vita o di morte soprattutto per sette paesi dell’Africa orientale: Gibuti, Etiopia, Kenya, Somalia, Sud Sudan, Sudan e Uganda, dove milioni di persone sono in sofferenza e non solo alimentare. Oltre al Covid questa parte di mondo è stata colpita da una serie di epidemie (ebola, morbillo, dengue e colera), e dalle locuste del deserto che hanno distrutto raccolti già miseri.Tra i paesi che soffrono di più ci sono i primi importatori: la Moldavia acquista dall’Ucraina il 91,8% del grano che serve al paese, il Libano l’81,2%, il Qatar il 64%, la Somalia il 60%, la Tunisia il 49,3%, la Libia il 48%, il Pakistan il 49,7%, l’Egitto e il Bangladesh oltre il 25%. Per alcuni non averlo è una grave difficoltà, per altri è la fame. La stessa che accende un’altra conseguenza: dà ragione di fuga a persone disperate.Ne sa qualcosa in questi giorni la Tunisia che, sfiancata da una crisi economica grave, si trova da una parte con una popolazione impoverita, dall’altra con ondate di persone in fuga dal sub Sahara che stazionano nel territorio costiero cercando un passaggio per attraversare il mare. Questa duplice tensione dà vita a una guerra tra poveri e poverissimi: chi non ha nulla cerca la sopravvivenza migrando e molte di queste persone, via terra o via mare, puntano come primo approdo all’Italia.Il mondo ormai è piccolo: non c’è un problema di una parte che non si riverberi nel globo intero. Tanto è vero che, all’annuncio del mancato rinnovo dell’accordo, la Fao si è fatta sentire subito, mentre sul fronte politico Zelensky è volato a Instanbul per incontrare il presidente turco Erdogan: lo sblocco del grano e l’accordo di luglio 2022 furono infatti i frutti di una riuscita mediazione tra le parti di Onu e Turchia.Il motivo per cui la Russia punta i piedi è economico: vuole sbloccare l’esportazione dei suoi prodotti, ugualmente fermi, sia agricoli che industriali (a partire dall’ammoniaca per i fertilizzanti). Minacciare il blocco del grano non è che l’ennesimo ricatto al mondo, una sfida – do ut des – cinica e crudele. C’è chi l’ha letta come una finta: alla scadenza l’accordo verrà almeno temporaneamente rinnovato. Vorremmo crederlo, anche se è più facile ammettere che il tempo delle illusioni è pressoché finito.