Diocesi
Pordenone: Omelia del Vescovo Pellegrini per il patrono San Marco
Guerra e sanità i due temi attuali toccati da S.E. Pellegrini. Il primo: "Veramente il nostro paese, insieme ai paesi europei e di tutto il mondo, sta vivendo una situazione a dir poco drammatica. Non è solo la guerra tra Ucraina e Russia, e le altre guerre del mondo, ultima fra tutte quella in Sudan a farci paura e a metterci in crisi..." E la sanità anche locale: "Il nostro territorio sta vivendo delle criticità che, se non corriamo in fretta ai ripari, rischiano di diventare endemiche... Penso al grave problema della salute pubblica che il Covid ha fatto emergere nella sua gravità, con la mancanza di operatori sanitari e medici e il conseguente allungamento di dei tempi per le visite mediche e per le cure necessarie"
La festa di San Marco patrono della nostra città di Pordenone, capoluogo della provincia, è un richiamo forte per la città e il territorio, per la comunità civile per quella religiosa, a convergere e collaborare insieme, nel rispetto delle diverse competenze, per il bene comune delle persone che vi abitano. Tutti dobbiamo sentirci responsabili dell’edificazione dellla nostra città, nel renderla più bella e vivibile, più accogliente e solidale. Una città a misura d’uomo, che lotta contro ogni discriminazione e ogni genere di povertà e di intolleranza. Dio ci ha donato un territorio bello e vivibile, i nostri padri ci hanno consegnato ricchezze d’arte ed eredità preziose, tra cui i valori della fede cristiana che ci ricordano l’amore e la prossimità di un Dio che nel suo Figlio si è fatto uno di noi. Tocca a noi, oggi, dare un’anima e un volto rinnovato alla nostra città e al territorio, non solo per delle opere necessarie che sono da fare, ma per coltivare i valori della laboriosità e dell’accoglienza, caratteristiche della nostra gente. Saluto con affetto la comunità cristiana qui presente con i parroci sacerdoti della città, le autorità civili con il signor sindaco, le altre autorità civili e militari e i politici presenti a livello cittadino, regionale e nazionale.
La tradizione ci dice che le origini cristiane nelle nostre terre, ha come punto di partenza Aquileia, città popolosa e di importanza strategica e commerciale, essendo al centro di una grande rete di comunicazione tra l’Italia e l’Oriente. L’impulso dato da san Paolo e Pietro che arrivarono a Roma, certamente influenzò anche il nostro territorio. San Marco fu discepolo di Pietro, come abbiamo sentito nella seconda lettura: “Vi saluta la comunità che vive in Babilonia e anche Marco, figlio mio” (1Pietro 5,12). Per alcuni studiosi, Giovanni-Marco che è stato discepolo di Paolo, menzionato negli Atti degli Apostoli e in qualche lettera paolina, è la stessa persona. Nativo di Gerusalemme, sarebbe emigrato a Roma dove compose il suo Vangelo, rivolgendosi non solo ai giudei ma soprattutto ai pagani. San Marco è stato il primo a scrivere il Vangelo, prima degli anni 70, data della distruzione del tempio di Gerusalemme. Così diede inizio ad un nuovo genere letterario, il vangelo, che ci lega strettamente alla storia di Gesù, permettendoci di confrontarci con la sua vicenda.
Celebriamo la festa di san Marco nel tempo di Pasqua, che ci riporta al centro della nostra fede: la risurrezione di Gesù, fondamento della speranza. Tutto il Vangelo di Marco ruota attorno alla centralità per la nostra fede del Mistero pasquale: passione, morte e risurrezione di Gesù. Solamente così, è possibile, ieri come oggi, riconoscere chi è veramente Gesù: il salvatore dell’umanità. La pagina del vangelo appena proclamata, è la conclusione del vangelo di Marco. Dopo averci ricordato le tre apparizioni del risorto a Maria di Magda, ai due discepoli di Emmaus e agli 11 radunati nel cenacolo, dove il tema dominante è ancora quello dell’incredulità, Gesù invia i discepoli in missione: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura” (16,15), richiamando fortemente l’universalità della fede: ‘tutto il mondo, ogni creatura’. Il programma che Gesù si era dato all’inizio della predicazione, non si estingue con la salita al cielo, ma sarà portato avanti dalla comunità credente, che si trova davanti un campo molto grande: il mondo intero. Dopo la missione ricevuta, gli 11 partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva con loro e confermava con dei segni la loro predicazione. Una predicazione che era e sarà sempre il Vangelo di Gesù, la Buona novella, testimoniando a tutti l’amore e la misericordia del Padre. I discepoli e la Chiesa non hanno un loro messaggio o un loro programma da portare nel mondo, sono solamente depositari di una esperienza che degli uomini e delle donne hanno vissuto con Gesù. Il Vangelo non è un messaggio da credere, ma l’adesione totale di sé ad un’esperienza che trasfigura la vita. “Il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano” (v. 20).
Gesù non si stanca di camminare anche oggi per le strade dell’umanità. Lui agisce nei discepoli e continua a fidarsi noi. Mentre è salito in cielo, ha chiesto ai discepoli di disperdersi nel mondo e di vivere pienamente la condizione umana. Attraverso i discepoli e i testimoni, Gesù è presente nel mondo, nella diversità dei popoli, delle culture e delle fedi e in tutte le situazioni possibili, anche quelle più difficili e complicate. Diventare segni efficaci dell’amore di Dio per gli uomini e le donne del nostro tempo e nel nostro ambiente, è l’affascinante compito di tutti i credenti. È pure l’occasione favorevole per incidere profondamente nel servizio dei più vulnerabili, di quelli – come ama dire Papa Francesco – che sono gli scartati dalla società. Compito non facile, soprattutto ai nostri giorni, per le tante situazioni critiche che stiamo vivendo. È una sfida che accogliamo volentieri, proprio per essere presenza propositiva, attenta, responsabile e anche critica, all’interno di tutte le istituzioni civili. Scrive papa Francesco: “Vivere fino in fondo ciò che è umano e introdursi nel cuore delle sfide come fermento di testimonianza in qualsiasi cultura, in qualsiasi città, migliora il cristiano e feconda la città”. (EG,75)
Il nostro Paese celebra oggi la festa della Liberazione dal nazifascismo. Noi la viviamo insieme a tutti e a tutte le forze politiche, senza schierarci da una parte o dall’altra, con la consapevolezza che “la politica, tanto denigrata, è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose della carità, perché cerca il bene comune. … Prego il Signore – continua papa Francesco -che ci regali più politici che abbiano davvero a cuore la società, il popolo, la vita dei poveri” (EG, 205). Veramente il nostro paese, insieme ai paesi europei e di tutto il mondo, sta vivendo una situazione a dir poco drammatica. Non è solo la guerra tra Ucraina e Russia, e le altre guerre del mondo, ultima fra tutte quella in Sudan a farci paura e a metterci in crisi, ma è lo stile di vita che stiamo vivendo, in particolare nel mondo occidentale, he non è più possibile permetterci. L’infelicità alimenterà il risentimento nei confronti della società, incapace di garantire i bisogni diventati assolutamente necessari. Sappiamo bene che, prima o poi, il risentimento fomenterà generi diversi di rivolte. Ho letto di recente che siamo “una società troppo ricca per rinunciare alle proprie aspirazioni, ma troppo povera per poterle realizzare”. Spesso le scelte individuali, anche di partito, che vengono fatte, non tengono conto delle reali possibilità e non rispettano i veri bisogni. Il nostro territorio sta vivendo delle criticità che, se non corriamo in fretta ai ripari, rischiano di diventare endemiche, provocando gravi malumori. Penso al grave problema della salute pubblica che il Covid ha fatto emergere nella sua gravità, con la mancanza di operatori sanitari e medici e il conseguente allungamento di dei tempi per le visite mediche e per le cure necessarie. Un altro aspetto da prendere in seria considerazione, come chiesa e società civile, credenti e non credenti: viviamo in un paese sempre più anziano con un altissimo tasso di denatalità, anche nella nostra regione. Siamo sempre più vecchi e le nuove nascite sono pochissime. Domandiamoci: guardiamo alle nuove vite come a un qualcosa di inedito, di un dono e una grazia che Dio ci fa, oppure ci fanno paura, ansia e trepidazione? Conosciamo bene le cause: sono necessarie e urgenti coraggiose politiche sociali, capaci realmente di mettere al centro il bene comune e il bene della famiglia, garantendo percorsi che sostengano i figli che si desiderano. Tante promesse da anni, ma mai fatto qualcosa di serio e significativo! Per non parlare della grande crisi ambientale, che pone problemi seri per il sostentamento di milioni di persone e un uso più equo delle risorse, per permettere alle generazioni future di vivere! In questi giorni, poi, noi vescovi siamo stati contrattati dai prefetti delle nostre provincie per affrontare insieme il tema dell’accoglienza dei tantissimi profughi che stanno arrivando nel nostro paese e in Europa. È una situazione complessa e problematica. Non possiamo fermarci alle polemiche o discussioni; è necessario agire tutti insieme. La solidarietà e l’accoglienza fanno parte della nostra cultura e della nostra tradizione di italiani e di cristiani. Apriamo le porte del nostro cuore, delle nostre case e delle nostre strutture per accogliere chi arriva ed offrire loro sostegno, amore ed amicizia. Sappiamo come queste persone sono necessarie per il nostro paese e per il lavoro. Favoriamo l’integrazione di tutti, nel rispetto delle leggi.
Come Diocesi intendiamo aiutare il cammino della società civile, impegnandoci in prima persona nella formazione politica di coloro che desiderano mettersi al servizio del bene comune, in particolare i giovani. Oggi, dove gli individualismi di parte sono sempre presenti, è importante mettersi insieme e collaborare, comunità cristiana e società civile, per formare politici responsabili per il bene di tutti. Nel 2014 l’OCSE affermava che il 70% della popolazione italiana si colloca al di sotto del livello 3, il livello di competenza considerate necessarie per interagire in modo efficace della società del ventunesimo secolo.
L’intercessione di San Marco ci aiuti ad essere forti nel riconoscere la presenza viva del Risorto e con coraggio essere testimoni nelle strade del mondo.
+ Giuseppe Pellegrini
vescovo