L'Editoriale
Nessuno sa far piovere
Quando una cosa è certa e assodata siano soliti dire che non ci piove. Ebbene, oltre ogni dubbio, non ci pioverà: è siccità conclamata. Di colpo si è fatta lampante la gravità della situazione: non si tratta di convivere con un’ondata di caldo, si tratta piuttosto di prendere atto di un quadro globale, nazionale e sovranazionale, di vera criticità e delle sue conseguenze.
Quando una cosa è certa e assodata siano soliti dire che non ci piove. Ebbene, oltre ogni dubbio, non ci pioverà: è siccità conclamata. I primi allarmi sono venuti dal Piemonte, in breve si sono estesi a Lombardia, Veneto, Friuli, Emilia Romagna, Lazio e via scendendo lungo lo stivale. Alla mancanza invernale di neve in montagna si è sommata quella primaverile della pioggia: il Veneto ha quantificato in 400-600 litri per kmq l’ammontare delle mancate precipitazioni. Ormai è un unico allarmato ritornello: estate secca e lunga, baciata con inaspettato anticipo e convinta persistenza dal solleone. Le regioni si appellano al governo perché sia dichiarato lo stato di emergenza idrica, mentre col passar dei giorni si sommano le ordinanze dei sindaci che chiudono fontane, limitano l’uso dell’acqua potabile ad alimentazione e igiene (vietandone il consumo per lavaggi auto e innaffio di orti e giardini).
Di colpo si è fatta lampante la gravità della situazione: non si tratta di convivere con un’ondata di caldo, ma di alte temperature prolungate a cui sarebbe bene non rispondere con altrettante ore di condizionatore, perché anche l’uso dell’energia va limitato con i bacini idrici quasi a secco e con i costi dei fossili in costante ascesa; si tratta piuttosto di prendere atto di un quadro globale, nazionale e sovranazionale, di vera criticità e delle sue conseguenze.
L’Europa meridionale è più secca del 20% in un solo ventennio e l’Italia, nello stesso arco di tempo, ha registrato cinque annate di siccità (1997, 2002, 2012, 2017 e 2022). L’acqua che manca asseta campi e animali e comporta altri guai: greti vuoti, risalita del cuneo salino, elevato rischio incendi e da ultimo invasione di insetti. La Sardegna è alle prese con milioni di cavallette che devastano 40mila ettari; l’Emilia Romagna ha le cavallette nella zona di Forlì, le cimici asiatiche sui frutteti tra Ferrara e Ravenna, il ragnetto rosso sui pomodori di Piacenza. Il Piemonte, che ha già compromesse le risaie per l’assenza d’acqua, combatte pure con il coleottero giapponese divoratore di mais, soia e nocciole. Coldiretti ha stimato in tre miliardi di euro i danni fin qui registrati dall’agricoltura. Poiché si dice che non pioverà e che, se pur piovesse la situazione non potrebbe dirsi risolta, il cammino si delinea difficile.
Non siamo gli unici a soffrire. Ha fatto eco la notizia che l’unico deserto dell’Europa, quello di Tabernas nel sud est della Spagna dove si sono girati tutti i film western di Sergio Leone, sta – come mai prima – fiorendo: è la conseguenza delle piogge torrenziali e del tutto anomale di maggio. Questo, mentre tutto il resto del paese soffre più di noi una siccità che sta portando il 70% del suo territorio a rischio desertificazione. Tutta l’Europa mediterranea ha sete: dal Portogallo a Malta fino a Grecia e Cipro.
L’Onu ha dichiarato che sono 200 i paesi colpiti dalla siccità, cosa che si ripercuote su un miliardo di persone, che si sommano alle popolazioni che, per geografia, non hanno acqua. Un miliardo in più di persone che vedranno scarseggiare o perdere la produzione agricola, subiranno il rialzo dei prezzi, rischieranno la carestia. Una scaletta che conosciamo legata a lontane parti del globo e che adesso cominciamo a sperimentare direttamente.
Eppure fin dal 1995 ogni 17 giugno ricorre la Giornata mondiale della lotta alla desertificazione e alla siccità: non ce ne siamo mai interessati troppo. Si celebra in paesi dove il problema è di casa, quest’anno si è tenuta in Nigeria e ha avuto come tema “Risorgere insieme dalla siccità”. Ibrahim Thiaw, segretario della costola delle Nazioni Unite che se ne occupa, ha definito la siccità uno dei disastri più distruttivi in termini di perdita di vite (umane, vegetali e animali) e ha dichiarato l’intensificarsi del fenomeno un segnale di “un futuro precario per il mondo”.
Per restare a noi: la siccità ad estate appena iniziata minaccia al Nord metà della produzione agricola, presagendo meno raccolto per noi e per il mercato, aziende in ginocchio, mancate risorse alimentari ed economiche. La Sicilia ha il 70% della superficie a rischio medio alto di desertificazione, il Molise il 58%, la Puglia il 57%, la Basilicata il 55%.
Che fare dunque? Dato che nessuno sa far piovere, non resta che contenere gli sprechi d’acqua in casa come negli acquedotti (si parla di una perdita del 40% per le falle nelle condutture), cambiare – come sta accadendo – le coltivazioni (grano saraceno al posto di altre specie), adottare tutti e presto comportamenti virtuosi, imparare una maggiore resilienza di fronte a simili episodi che si ripeteranno.
Se tutto questo ci trova stupiti e impreparati facciamo pure mea culpa: in quel tesoro che è la Laudato Sì, papa Francesco aveva già delineato il quadro limpido e tragico: “Alcuni studi hanno segnalato il rischio di subire un’acuta scarsità di acqua entro pochi decenni se non si agisce con urgenza. Gli impatti ambientali potrebbero colpire miliardi di persone, e d’altra parte è prevedibile che il controllo dell’acqua da parte di grandi imprese mondiali si trasformi in una delle principali fonti di conflitto di questo secolo”.