Domenica 20 marzo, commento di don Renato De Zan

Gesù è diretto: No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo"

 

Lc 13,1-9

1 In quel tempo si presentarono alcuni a riferirgli il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. 2 Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? 3 No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. 4 O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? 5 No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». 6 Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. 7 Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. 8 Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. 9 Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

 

Se non vi convertite, perirete tutti

 

Tematica liturgico-biblica

 

1. Ai tempi di Gesù, una certa parte della riflessione rabbinica riteneva che coloro che soffrivano di qualche malattia o morivano prematuramente erano castigati da Dio perché peccatori. Era un pensiero condiviso dalla gente. Per comprendere questo modo di pensare, basta ricordare la reazione dei discepoli di fronte al cieco nato: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?» (Gv 9,2). Chi, invece, non era ammalato e aveva una vita lunga (cf Sal 90,10: “Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti”), pensava di non essere peccatore e, quindi, aveva meritato la benedizione da Dio.

 

2. Questo modo di pensare – assunto diversi secoli più tardi, con alcune modifiche, dal pensiero protestante calvinista-ginevrino – vedeva nei Galilei uccisi da Pilato e nei diciotto morti sotto il crollo della torre di Siloe, delle persone castigate. Se castigate, erano peccatori e peccatrici. Chi, invece, poteva commentare la notizia si sentiva “giusto” proprio perché risparmiato dalla morte prematura. Gesù aveva davanti a sé questo tipo di uditorio. Il messaggio di Gesù è semplice: non è la situazione, più o meno sociologicamente felice, che determina lo stato di necessità o meno della conversione. Tutti sono sempre chiamati a convertirsi.

 

3. Un primo significato teologico della parola conversione è passare dal non credere al credere Un secondo significato indica il passaggio dal comportamento malvagio e peccaminoso al comportamento virtuoso. Infine, un terzo significato consiste nel cambiare modo di pensare. Quest’ultimo significato è quello predicato da Gesù. La conversione proposta dal Maestro, dunque, non è un episodio nella vita del credente, ma è un atteggiamento continuo e permanente. Quando Dio dona questa grazia della conversione, il credente è chiamato ad aderire subito. Non rimanda a domani.

 

4. La conversione come atteggiamento interiore perdurante traspare nei “frutti” (modo di sentire, di pensare, di decidere, di agire). In questo lavorio interiore l’uomo non è solo. Gesù, rappresentato dal vignaiolo, è con lui, come Dio aveva promesso a Mosè “sarò con te” e come gli aveva svelato attraverso il nome Yhwh (Es 3,1-8a.13-15: prima lettura), il cui significato non è facile da spiegare: “Io sono colui che sono”, “Io sono colui che si trova tra gli uomini e nella storia”, “Io sono colui che fa essere”, ecc.

 

Dimensione letterario

 

1. Gesù aveva appena finito di parlare circa il dovere dei cristiani di saper leggere i segni dei tempi (Lc 12,54-59). Il testo successivo, incomincia con l’espressione “In quello stesso tempo si presentarono alcuni…” (Lc 13,1). La Liturgia prende il brano di Lc 13,1-9 e sopprime l’aggettivo dimostrativo (stesso). Il nuovo incipit così si esprime: “In quel tempo si presentarono alcuni…”. In questo modo l’episodio evangelico non è più legato a ciò che precede.

 

2. Il brano, a livello di narrazione, è cadenzato in tre parti. C’è un antefatto (Lc 13,1-2a) in cui alcuni riferiscono a Gesù della carneficina di Pilato nei confronti di alcuni Galilei. C’è, subito dopo, l’intervento di Gesù (Lc 13,2b-5) in cui il Maestro oltre al fatto di Pilato riporta anche il fatto del crollo della torre di Siloe su diciotto vittime. In ambedue i casi la conclusione è identica. I morti sono più peccatori o colpevoli degli interlocutori di Gesù? “No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo” (Lc 13,3.5). Chiude la riflessione di Gesù una parabola (Lc 13,6-9) sul fico infruttuoso, sul progetto di estirparlo da parte del padrone e sulla cura dell’agricoltore per un anno.

 

Riflessione biblico-liturgica

 

1. Il gesto del vignaiolo è un gesto d’intercessione e di misericordia. Illustra molto bene il ruolo di Gesù presso il Padre in nostro favore. Così testimonia apertamente la lettera agli ebrei: “Perciò può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio: egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore” (Eb 7,25).

 

2. La presunzione di salvarsi non appartiene alla mentalità cristiana. Paolo, infatti, raccomanda: “Quindi, chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere” (seconda lettura, 1Cor 10,1-6.10-12). Per questo motivo la Liturgia suggerisce la pratica del digiuno, della preghiera e della carità fraterna (amplificazione dell’invocazione nella Colletta generale): è un modo di essere umili e di darsi una disciplina che richiami alla conversione. Questi sono strumenti. La conversione è il fine.