L'Editoriale
I pappagalli verdi non voleranno più
Voto unanime approva lo stop dell'Italia ai finanziamenti delle imprese produttrici di mine. Un affare da miliardi che crea vittime e mutilati tra i civili (80%) e tra i bambini (43%) dei paesi in guerra
Con dire poetico e immaginifico si può supporre che da lassù Gino Strada, il fondatore di Emergency deceduto lo scorso 13 agosto, abbia sorriso giovedì 2 dicembre, quando sul tabellone di Montecitorio è apparso per tre volte il numero 383: tanti i presenti, i votanti e i favorevoli alla proposta di legge in approvazione riguardante le “Misure per contrastare il finanziamento delle imprese produttrici di mine antipersona, di munizioni e submunizioni a grappolo”. Ora manca solo la promulgazione del Presidente della Repubblica.Con questo sì unanime di tutte le forze politiche – arrivato però dopo un travaglio di oltre dieci anni – l’Italia ha votato il suo stop alle mine e a chi, nel mondo, investe in armi. Un mercato tutt’altro che fermo o in perdita, dato che negli ultimi quattro anni ha visto impiegati 31 miliardi di dollari. Lo ha rivelato l’ultimo rapporto di Land mine monitor uscito lo scorso 10 novembre, che fornisce una panoramica globale degli sforzi in atto per dare piena attuazione al Trattato per la messa al bando delle mine nato 23 anni fa nel 1997.Ad oggi sono 164 i paesi che hanno aderito al Trattato, l’80% dei paesi del mondo. Non sembri una vittoria: dodici nazioni non hanno mai ripudiato la fabbricazione di mine antiuomo; tra queste ci sono super potenze politiche ed economiche del peso di Usa, Cina e Russia.Secondo il citato rapporto, sono ancora 33 i paesi da bonificare nel mondo. Uno sforzo enorme che va fatto per prevenire ulteriori feriti, mutilati e morti; uno sforzo sostenuto da 45 donatori e dai paesi contaminati con un impiego di risorse che nel 2020 hanno raggiunto i 650 milioni di dollari (-7% rispetto al 2019) e che si sono tradotti in 156 mila kmq bonificati e 123 mila mine distrutte. Ad oggi sono stati distrutti circa 55 milioni di mine antipersona dei 110 milioni di mine disseminate nel mondo con cui scrisse nel ’99 Gino Strada. Un buon lavoro, ma troppe mine continuano a nascondersi nei paesi teatro di guerra, troppe continuano ad essere prodotte, acquistate e disseminate. La pandemia non ne ha infatti fermato né il mercato né l’uso: gruppi armati vi fanno ancora ricorso in sei paesi (Afghanistan, Colombia, India, Libia, Myanmar e Pakistan).Il Land mine Monitor quantifica in 5.554 gli incidenti provocati da da mine o Erw (residuati bellici inesplosi) nel 2020. Le vittime sono quasi sempre civili (oltre l’80%), nella metà dei casi bambini (43%).Per questo Gino Strada avrà sorriso. Lui che, stanco di vedere gli orrori, le mutilazioni e le morti inflitte dalle mine, nel 1999 aveva scritto: “Pappagalli verdi. Cronache di un chirurgo di guerra”, una raccolta di memorie dalle zone in cui lui e i medici di Emergency hanno ricucito uomini, donne e tanti bambini che le mine avevano fatto esplodere dall’Iraq all’Afghanistan, dal Ruanda al Kurdistan.I pappagalli verdi a cui il libro fa riferimento altro non sono che mine antiuomo di produzione sovietica (note come Pfm1 o mine farfalla), realizzate come un piccolo cilindro con due ali laterali di colore verde, studiate per essere scambiate per piccoli volatili. Gettate dagli aerei in volo finiscono sul terreno volteggiando (grazie alle ali) e per questo attirano prima lo sguardo e poi le mani dei più piccoli.Pur avendo smesso di credere alle favole, ci auguriamo davvero che anche grazie ai 383 sì italiani i pappagalli verdi smettano al più presto di volare.