L'Editoriale
Crocifisso a scuola
Per amore e per cultura, non per propaganda. così l'ultima sentenza dopo l'ennesima polemica
Ancora una volta l’esposizione del crocifisso in ambienti pubblici ha formato oggetto di controversie giudiziarie. “Con la sentenza n. 24414, pubblicata il 9 settembre 2021, la Corte di cassazione, a Sezioni Unite, si è occupata dell’affissione del crocifisso nelle aule scolastiche. In particolare, la questione esaminata riguardava la compatibilità tra l’ordine di esposizione del crocifisso, impartito dal dirigente scolastico di un istituto professionale statale sulla base di una delibera assunta a maggioranza dall’assemblea di classe degli studenti, e la libertà di coscienza in materia religiosa del docente, che desiderava fare le sue lezioni senza il simbolo religioso appeso alla parete” che staccava al suo ingresso in aula.
La Corte, nella sua lunga sentenza, enuncia alcuni principi che devono regolare i rapporti fra coloro che vogliono l’esposizione del crocifisso e coloro che, invocando la loro libertà di coscienza, sono contrari. Con una prima affermazione, la Cassazione ci dice che “l’aula può accoglierne la presenza allorquando la comunità scolastica interessata valuti e decida in autonomia di esporlo, nel rispetto e nella salvaguardia delle convinzioni di tutti, affiancando al crocifisso, in caso di richiesta, gli altri simboli delle fedi religiose presenti all’interno della stessa comunità scolastica e ricercando un ragionevole accomodamento che consenta di favorire la convivenza delle pluralità”.
La Corte ribadisce poi che il principio di laicità dello Stato non contrasta con l’esposizione del crocifisso. Esso, “per la nostra Costituzione si fonda su un concetto inclusivo e aperto di neutralità e non escludente di secolarizzazione: come tale, riconosce la dimensione religiosa presente nella società e si alimenta della convivenza di fedi e convinzioni diverse. e non persegue un obiettivo di tendenziale e progressiva irrilevanza del sentire religioso, destinato a rimanere nella intimità della coscienza dell’individuo”. Il crocifisso, pur non potendo essere considerato il simbolo della Repubblica italiana descrive, proprio in quanto espressivo di un’esperienza religiosa, anche uno dei tratti del patrimonio culturale italiano e rappresenta una storia e una tradizione di popolo. “Allo stesso tempo, la croce e la passione di Cristo richiamano valori (la dignità umana, la pace, la fratellanza, l’amore verso il prossimo e la solidarietà) condivisibili, per il loro carattere universale, anche da chi non è credente”. Quanto alla pretesa del docente di staccarlo dalla parete, la Corte Suprema ci dice che: “il crocifisso appeso al muro di un’aula scolastica è un simbolo essenzialmente passivo, perché non implica da parte del potenziale destinatario del messaggio alcun atto, neppure implicito, di adesione ad esso. Nella sua fissità e nella sua dimensione statica, esso non pretende osservanza né riverenza. Parla soltanto a chi, credente o non credente, si pone rispetto ad esso in atteggiamento di volontario ascolto. L’esposizione del simbolo religioso non è un atto di propaganda. Non rappresenta uno strumento di proselitismo. E’ un atto di testimonianza, di professione della fede religiosa da parte dei componenti di quella comunità di vita in formazione che è una classe di scuola”. Analizzando ancora la richiesta del docente, la Corte di Cassazione precisa che ”le convinzioni personali dell’insegnante, orientate alla negazione di qualsiasi realtà della dimensione divina, come pure la libertà di manifestazione delle stesse, restano tali e non sono minacciate in ragione della presenza di quelle altrui, anche opposte e confliggenti, e delle rappresentazioni simboliche che di esse facciano gli studenti. Il principio di intangibilità del foro interno della persona e il diritto di professare liberamente la propria non-credenza non appare violato per il solo fatto di convivere – in quel peculiare ambiente lavorativo che è la scuola – con segni, rappresentazioni o manifestazioni di un pensiero diverso, non imposto dall’autorità ma richiesto dai fruitori del servizio scolastico: di ciò si permea, d’altra parte, una società democratica e libera nelle manifestazioni di pensiero. La libertà di manifestazione della propria convinzione non religiosa non richiede e non si realizza attraverso il divieto assoluto di affissione o l’obbligo di rimozione del simbolo religioso esposto in uno spazio pubblico condiviso a soddisfazione di un interesse di altri soggetti”. La sentenza delle Sezioni Unite, della Corte di Cassazione, della quale ho riportato solo alcuni punti, merita di essere conosciuta nella sua interezza. Essa ci indica le linea guida per la tutela della libertà religiosa e per ricordare che una “piccola croce” appesa al muro non può essere motivo di divisione ma è solo un segno dell’amore di Dio per gli uomini.
Antonio Lazzàro