Dal basso in alto

Il Sinodo deve iniziare dal basso in alto. Questo ci chiederà pazienza e lavoro, far parlare la gente, che esca la saggezza del popolo di Dio": parola di Papa Francesco

Il Sinodo deve iniziare dal basso in alto. Questo ci chiederà pazienza e lavoro, far parlare la gente, che esca la saggezza del popolo di Dio”.Le parole che Papa Francesco ha rivolto ai vescovi aprendo la 74esima Assemblea Generale della Conferenza episcopale Italiana mi hanno colpito profondamente e mi hanno dato da pensare.Dal basso in alto: un’indicazione semplice ma davvero illuminante che basta a dare senso all’intero percorso del cammino sinodale. Durante i lavori della Segreteria Generale che sta preparando il percorso della Chiesa diocesana verso l’Assemblea Sinodale abbiamo condiviso alcune riflessioni relative ai tempi e allo stile che dovranno caratterizzare questo cammino.Il sinodo della Chiesa (Diocesana e Italiana) vissuto nel tempo che stiamo attraversando non può essere pensato come un evento e neanche semplicemente come un percorso che ha un inizio e una fine, si tratta piuttosto di sperimentare strade nuove per aprire spazi significativi di ascolto e di incontro che possano trasformare definitivamente le nostre comunità.Partire dal basso significa attingere alla ricchezza di tutte le esperienze umane, andando incontro alle fatiche di ciascuno e alle sfide che siamo chiamati a raccogliere, tra tutte forse la ricostruzione di quel tessuto di relazioni autentiche in cui si realizza la vita delle comunità cristiane e che abbiamo rischiato di perdere travolti dalla pandemia. L’anno che abbiamo vissuto ci ha esposti al rischio di un isolamento non solo fisico e di una solitudine imposta che può diventare, specialmente per i giovani e per le personalità più fragili, una trappola senza vie d’uscita.Papa Francesco ci ha richiamati ad un coraggio creativo che può orientare in modo nuovo il nostro sguardo: “Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda” (Omelia del 27 marzo 2020).Se penso ad una Chiesa “in uscita” che ha il “coraggio di cambiare” penso ad un popolo che si mette in cammino con la certezza che solo sulla strada si può incontrare l’altro e aprirsi al cambiamento; sulla strada mentre si condividono fatica e bellezza nascono relazioni autentiche che hanno un potere trasformativo.Spero davvero il cammino sinodale ci porti in dono un nuovo modo di cercare, costruire e nutrire uno stile relazionale diverso che possa farci scoprire la ricchezza degli incontri, il valore del confronto l’importanza di ritrovarsi nella diversità fratelli e figli: se il cammino che siamo chiamati a condividere ci riportasse sulla strada dell’apertura, dell’ascolto, dell’incontro vero avremo raccolto da questa esperienza i frutti più preziosi.Nella relazione con l’altro si gioca la realizzazione della nostra umanità ma per una comunità cristiana in cammino c’è in gioco qualcosa di ancora più grande. Seguendo Cristo, uomo di relazione, siamo chiamati a testimoniare la certezza che il Bene si realizza nella comunione tra di noi e con Lui; le comunità coinvolte in questo percorso dovranno avere una cura particolare per la qualità degli incontri, un’attenzione specifica al coinvolgimento di gruppi e singoli e delle diverse generazioni. Di fronte ai giovani, in cui riponiamo tutta la speranza per la salvezza del mondo, le comunità cristiane hanno la responsabilità della testimonianza; lungo il cammino verso il Sinodo i giovani dovranno incontrare “discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano”, una Chiesa che “sa fare il primo passo, sa prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi” (Evangelii Gaudium, 24).Per giocarsi davvero nelle relazioni bisogna essere disposti ad uscire da se stessi per mettersi a disposizione dell’altro, pronti ad accogliere il cambiamento che ogni incontro autentico può provocare. Su questa strada i giovani si metteranno in cammino e sapranno essere protagonisti creativi, anche rivoluzionari.Quindi il “Coraggio di cambiare” di una “Chiesa in uscita” passa attraverso il coraggio di ogni cristiano coinvolto nel cammino sinodale: se i percorsi che sapremo attivare favoriranno la rinascita delle relazioni tra di noi avremo contribuito a quel “improrogabile rinnovamento ecclesiale” che da più parti sembra essere invocato come l’orizzonte verso il quale dirigersi.Se sapremo aprire spazi di accoglienza in cui possano nascere occasioni di incontro e relazione anche per chi si avvicina solo ogni tanto e quasi per caso alla vita della Chiesa avremo colto nel segno l’invito a partire da quel “basso” in cui si nasconde un tesoro di umanità che va custodito e liberato. Paola Fedato

PAROLE GUIDA DAL MAGISTERO DI PAPA FRANCESCO

Incontro del Santo Padre Francescocon i partecipantial convegno della diocesi di RomaBasilica di San Giovanni in Laterano, giovedì 9 maggio 2019

E’ vero che le Beatitudini donate da Dio non sono il nostro “piatto forte”: dobbiamo imparare ancora; dobbiamo cercare per questa strada di offrire ai nostri concittadini il piatto forte che li farà crescere. E quando lo trovano, ecco che la fede fiorisce, mette radici, si innesta nella vigna che è la Chiesa da cui riceve la linfa della vita dello Spirito. Pensiamo di dovere offrire altro al mondo, se non il Vangelo creduto e vissuto? Vi prego, non scandalizziamo i piccoli offrendo lo spettacolo di una comunità presuntuosa… […]A Firenze chiesi a tutti i partecipanti al Convegno di riprendere in mano la Evangelii gaudium. Questo è il secondo punto di partenza dell’evangelizzazione post-conciliare. Perché dico “secondo punto di partenza”? Perché il primo punto di partenza è il documento più grande uscito dal dopo-Concilio: la Evangelii nuntiandi [di Paolo VI, 8 dicembre 1975]. L’Evangelii gaudium è un aggiornamento, un’imitazione dell’Evangelii nuntiandi per l’oggi, ma la forza è il primo. Prendete in mano la Evangelii gaudium, ritornate sul percorso di trasformazione missionaria delle comunità cristiane che è proposto nelle pagine dell’Esortazione. Lo stesso chiedo a voi, indirizzandovi in particolare a una parte del secondo capitolo dell’Evangelii gaudium, quello delle sfide all’evangelizzazione, le sfide della cultura urbana: i numeri che vanno dal 61 al 75. Faccio due sottolineature, che, in vista del cammino del prossimo anno, rappresentano anche i due compiti che vi affido.1) Esercitare uno sguardo contemplativo sulla vita delle persone che abitano la città. Guardare. E per far questo, in ogni parrocchia cerchiamo di comprendere come vivono le persone, come pensano, cosa sentono gli abitanti del nostro quartiere, adulti e giovani; cerchiamo di raccogliere storie di vita. Storie di vite esemplari, significative di quello che vive la maggioranza delle persone. Possiamo raccogliere queste storie di vita interrogando con amicizia i genitori dei bambini e dei ragazzi, o andando a trovare gli anziani, o intervistando i giovani a scuola, d’intesa con i loro insegnanti. Ho menzionato gli anziani: per favore, non dimenticateli. Adesso sono più curati perché, siccome manca il lavoro e l’anziano ha la pensione, lo curano meglio, l’anziano… Ma fate parlare i vecchi: non per diventare antiquati, no, per avere l’odore delle radici e potere andare avanti radicati. Noi, con questa tecnologia del virtuale, rischiamo di perdere il radicamento, le radici, di diventare sradicati, liquidi – come diceva un filosofo – oppure, come piace piuttosto dire a me, gassosi, senza consistenza, perché non siamo radicati e abbiamo perso il succo delle radici per crescere, per fiorire, per dare frutti. Facciamo parlare gli anziani: non dimenticatevi di questo. Un ascolto della gente che sempre più è il grido dei piccoli. Ma soprattutto abbiate uno sguardo contemplativo, per avvicinarsi con questo sguardo… E avvicinarsi toccando la realtà. Il tatto, dei cinque sensi, è il più pieno, il più completo.2) Secondo compito: esercitare uno sguardo contemplativo sulle culture nuove che si generano nella città. […]. Nella Evangelii gaudium ho sottolineato che sono proprio i contesti urbani i luoghi dove viene prodotta una nuova cultura: nuovi racconti, nuovi simboli, nuovi paradigmi, nuovi linguaggi, nuovi messaggi (cfr n. 73). Occorre capirli; trovarli e capirli. E tutto questo produce del bene e del male. Il male è spesso sotto gli occhi di tutti: “cittadini a metà, non cittadini, avanzi urbani” (ibid., 74), perché ci sono persone che non accedono alle stesse possibilità di vita degli altri e che vengono scartate; segregazione, violenza, corruzione, criminalità, traffico di droga e di esseri umani, abuso dei minori e abbandono degli anziani. Si generano così delle tensioni insopportabili. […] Ma nella città c’è anche tanto bene, perché ci sono luoghi positivi, luoghi fecondi: lì dove i cittadini si incontrano e dialogano in maniera solidale e costruttiva, ecco che si crea “un tessuto connettivo dove persone e gruppi condividono diverse modalità di sognare la vita, immaginari simili, e si costituiscono nuovi settori umani, territori culturali invisibili” (ibid.). […] Grazie!

Papa Francesco