Riandiamo a cominciare

E’ un bel tornare alla vita questo riaprir di mostre che si sussegue anche nei nostri territori, questo rivivere nei cinema la magia delle favole viste al buio contro il muro, questo riprogrammare incontri che – sebbene continuati in seminari on line e webinar – tornano in contingentata presenza

E’ un bel tornare alla vita questo riaprir di mostre che si sussegue anche nei nostri territori, questo rivivere nei cinema la magia delle favole viste al buio contro il muro, questo riprogrammare incontri che – sebbene continuati in seminari on line e webinar – tornano in contingentata presenza, mentre gli archetti dei violini hanno già ripreso ad elevarci gli animi e i cori parrocchiali riprovano con fresco fervore dopo i mesi di fermo. Il tutto, non va dimenticato, merito di una situazione sanitaria molto cambiata, con numeri di contagi molto ridotti grazie a una campagna vaccinale che, sommandosi a chi ha superato il Covid, permette di considerare un cittadino su due immunizzato.

Tornano teatri e gallerie dopo che per mesi ne siamo rimasti privi. Certo, li abbiamo sostituiti con surrogati tecnologici: una ciambella di salvataggio importante ma non appagante quanto spettacoli e opere viste dal vivo e da vicino. E dovremmo dire un grazie ai nostri occhi – e a chi li ha fatti – se non c’è tecnologia capace di rendere la visione di un quadro emozionante quanto l’originale, col naso a trenta centimetri dalla tela. Ci sono magie che solo “l’esserci” innesca, regalando una concentrazione che ad uno schermo non si dà, stappando energie di stupore ed emozione imbottigliate da così tanto da risultare polverose come cantine. L’arte funziona di più senza intermediari.

Il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky ha dichiarato che la Costituzione italiana “nel senso più profondo e sostanziale è l’organizzazione di questa triade: economia, per assicurare i beni materiali; politica, per assicurare ordine e sicurezza; cultura, per creare senso di appartenenza”.

Nei lunghi mesi della pandemia l’economia e la politica sono state al centro dell’attenzione: in particolare la seconda si è occupata a vario titolo della prima tanto che parole come ristori, bonus, recovery plan, piano resistenza e resilienza sono diventate di uso quotidiano.

E la cultura? E’ passata dalla fruizione collettiva a quella singola e personale: una cultura da sofà. Lo ha fatto obtorto collo, immersa in un necessario isolamento, prima misura per arginare il contagio. A sentire i lavoratori del settore – una gamma amplissima che va dai musicisti agli attori, dai fonici ai tecnici delle luci – ci si è scordati di loro. E la politica – alle prese con un virus che ammalava e uccideva – è stata accusata d’aver tirato dritto come un Dante strattonato da un Virgilio dispettoso che invitava al “guarda e passa”.

La cultura è stata – anche giocoforza – la vittima illustre delle circostanze. Un anno senza teatri e cinema, mostre e biblioteche, concerti e cori ci ha privato di alcuni dei momenti più appaganti della vita, di gioie che sono opportunità di crescita. Ci ha immiseriti nel cammino mai finito di arricchimento personale ma anche collettivo, se è vera la citata definizione di cultura come generatore di senso di appartenenza. E così è.

Ci sono tante appartenenze di cui godere: ad un sapere specifico di settore, che sia scelto per professione o per passione; ad un sapere comune a livello nazionale, figlio degli stessi programmi scolastici. E c’è un’appartenenza a livello superiore, fatta da elementi che ci legano tutti: la Nike di Samotracia non è dei francesi che la conservano al Louvre; i tormenti di Amleto non sono né di Shakespeare né degli inglesi ma dell’umanità intera, senza luogo e senza tempo; la pietà di Michelangelo raffigura ancora ogni madre costretta a piangere la morte del figlio. Ci sono punti fermi che fanno parte dell’humanitas tutta e, non a caso, si identificano (anche se non in via esclusiva) con quella che si suole definire cultura umanistica. Spesso sono quella letteratura e quell’arte che abbiamo assaggiato a scuola, ammirato in un museo, ascoltato al buio di una sala da concerto. Vengono da mani e menti di uomini e donne di cui si è fieri connazionali ma che si condividono col mondo intero perché al mondo intero, così troppo spesso diviso e in lotta, hanno qualcosa di importante da dire. E ascoltare la loro voce piace. E fa bene. E porta ciascuno di noi un passo più in là dei quotidiani passi, con messaggi di talenti senza tramonto. E allora, per la gioia di ciascuno, artisti compresi: si apra il sipario e riandiamo a cominciare.