Tra l’aprire e il condividere

Pur non facendo di tutta l’erba un fascio e ricordando che ci sono settori come quello della tecnologia o delle costruzioni (+2,6%) che sono stabili o in crescita, è sotto gli occhi di tutti che alcuni soffrono tremendamente. Sono quelli su cui hanno pesato i vincoli legati alle misure di contenimento sanitario, come alcune attività del terziario connesse con la mobilità, turismo e tempo libero.

Tra l’aprire e

il condividere

Simonetta Venturin

Quante parole si stano usando da mesi e ancor più in queste ultime settimane attorno alla questione lavoro, che nell’anno della pandemia vede coinvolte e sconvolte alcune categorie più di altre: tutte quelle che, avendo più a che fare con le persone – veicolo del virus – hanno subito restrizioni e chiusure anche pesanti. Le visioni sul tema sono divergenti e divisive, anche se uno è il binario che sottende ad ogni decisione: il monitoraggio dei contagi, la capienza ospedaliera e, purtroppo, il numero quotidianamente elevato delle vittime.

Numeri che non lasciano campo libero alle opinioni sono anche quelli presentati dal presidente dell’Istat, Giancarlo Blangiardo, in un documento del 19 aprile scorso, dai quali emerge con urgenza che questo è il tempo di progettare e agire più che di mettere una categoria contro l’altra.

Le pagine del citato rapporto fanno da mesta cornice a questo primo maggio. La pandemia ha acceso e ampliato divari: tra uomini e donne, tra nord e sud, tra lavoratori a tempo indeterminato e quelli a tempo determinato e stagionali.

Troppe le cifre in negativo: il calo degli occupati (da febbraio 2020 a febbraio 2021 se ne sono persi 945mila: -4,1%,), tra cui spiccano i lavoratori dipendenti a termine (-12,8%), gli autonomi (-6,8%), le donne (-4,2%) e tanti giovani (-14,7% se si considerano quelli tra 15 e 24 anni). Lo stesso rapporto sentenzia: “Nel 2020 l’occupazione ha subito un calo senza precedenti”, accompagnato da un intenso aumento degli inattivi (+4,3% tra i 15 e i 64 anni), tanto più evidente dopo il 2018 e 2019, nei quali “il tasso di occupazione aveva raggiunto il massimo storico”.

Chi ha pagato pegno sono state le famiglie più fragili: quelle che vivono di lavori saltuari e stagionali, con figli a carico, monoparentali o con stranieri. Così il 2020 si è chiuso con oltre 2 milioni di famiglie in povertà assoluta (il 7,7%), il tasso più elevato dal 2005, anno dal quale l’Istat le monitora.

L’aumentata povertà si riflette sul calo dei consumi che per il 2020 l’Istat definisce record: -9,1% la spesa media rispetto al 2019; -19,4% la spesa per beni e servizi (alimentari esclusi).

Le imprese non se la passano meglio se tante sono le persone che il lavoro lo hanno perso. A fine 2020, il 32% delle imprese con 3 addetti considerava a rischio la propria sopravvivenza nei primi sei mesi del 2021; il 62% stimava in 20% il calo dei ricavi. La crisi ha bussato più forte nelle realtà piccole e piccolissime, spesso familiari; in 11 regioni italiane la metà delle imprese vive una criticità medio alta (7 di queste 11 regioni sono al sud).

Pur non facendo di tutta l’erba un fascio e ricordando che ci sono settori come quello della tecnologia o delle costruzioni (+2,6%) che sono stabili o in crescita, è sotto gli occhi di tutti che alcuni soffrono tremendamente. Sono quelli su cui hanno pesato i vincoli legati alle misure di contenimento sanitario, come alcune attività del terziario connesse con la mobilità, turismo e tempo libero.

Sono drammatici i bilanci del mondo dello spettacolo (al quale mancano 7 ingressi su 10), delle agenzie di viaggio (-85%), delle attività ricettive (-70%), dei trasporti aerei e marittimi (-50%), della ristorazione (-45%). Ed è soprattutto attorno a quest’ultima che infiammano le polemiche. Eppure i nostri circa trecento connazionali che ogni giorno soccombono ci ricordano che il virus è tra noi. Mantenere prudenza e distanziamento non è persecutorio né verso chi svolge determinate professioni, né verso chi è stanco e ha bisogno di socializzare.

La strada della necessaria solidarietà va forse dimostrata in altro modo: c’è chi ha proposto di prendere da chi ha sempre avuto (i lavoratori che non hanno economicamente subito il virus) per dare a chi non ha potuto lavorare. Una voce che non è stata ripresa.