Domenica 25 aprile, commento di don Renato De Zan

E' la domenica del Buon Pastore, che dona la vita ai suoi discepoli

25.04.2021 IV domenica di Pasqua

 

Gv 10,11-18

In quel tempo, Gesù disse: “11 Io sono il buon pastore (ὁ ποιμὴν ὁ καλός). Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. 12 Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; 13 perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.

14 Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, 15 così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. 16 E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. 17 Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. 18 Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio”.

 

Gesù, il pastore ideale, dona la propria vita ai suoi discepoli

 

Tematica liturgica

Nelle prime tre domeniche di Pasqua, sia nel ciclo A come nei cicli B e C, i vangeli presentano i “segni” del Risorto. Nella quarta domenica di ogni ciclo (quindi la nostra) viene illustrato il legame profondo tra il Risorto e i suoi discepoli. Nella quinta e nella sesta domenica i testi evangelici presentano il “testamento” di Gesù, il lungo discorso dell’ultima cena giovannea. L’Ascensione e la Pentecoste chiudono il ciclo.

In questa quarta domenica la Liturgia legge il capitolo 10 del vangelo di Giovanni. La quarta domenica dell’anno A legge Gv 10,1-10 dove Gesù presenta una “paroimia” (= una comunicazione per immagini, vive e veloci, di un pensiero molto articolato, intenso e rapido, di non facile e immediata comprensione), che i discepoli non capiscono (Gv 10,6: “Gesù disse loro questa ‘paroimia’, ma essi non capirono di che cosa parlava loro”). Gesù con pazienza la spiega. Prima spiega che l’immagine (paroimia) da lui presentata illustra Gesù come “porta” (Gv 10,7-10). Poi, presenta Gesù come il “buon pastore” Gv 10,10-18 (è il vangelo di oggi). Nell’anno C, la quarta domenica di Pasqua proclama Gv 10,27-30: nessuno può rapire le pecore dalla mano del pastore.

Il testo di Gv 10,11-18 pone in primo piano il pastore ideale (il buon pastore) e, in antitesi, il mercenario. Gesù sceglie l’immagine del pastore – già scelta dal profeta Deutero-Isaia, da Ezechiele e dall’autore del Sal 22 – per spiegare il proprio ruolo salvifico. Il Deutero-Isaia, presentando Dio come liberatore dalla schiavitù babilonese, annunciava: “Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul seno e conduce pian piano le pecore madri” (Is 40,10-11). Ezechiele, a sua volta, prestando le parole a Dio, profetizza: “Io stesso (= Dio) condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Oracolo del Signore Dio. Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita; fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia” (Ez 34,15-16). L’autore del Sal 23, poi, illustra il ruolo di Dio come “pastore”  (“Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla”) e come “ospite” (“Davanti a me tu prepari una mensa”). Come Pastore vero Gesù dà la vita per le pecore perché esse abbiano la vita: questo è il progetto del Padre. Non è un progetto chiuso a favore dei cristiani, ma di tutti gli uomini (“E ho altre pecore che non provengono da questo recinto; anche queste io devo guidare”).

 

Dimensione letteraria

Il testo biblico, nella sua completezza, sarebbe Gv 10,1-21. Da questo testo, oggi, la Liturgia sceglie la seconda spiegazione della “paroimia”, Gv 10,11-18, collocando come incipit l’espressione “In quel tempo, Gesù disse:”. Il testo evangelico è contrassegnato da due ripetizioni: dall’espressione “io sono il buon pastore” (Gv 10,11.14) e dall’espressione “dare la vita (GV 10,11.15.17). Il brano evangelico, perciò, è divisibile in due parti: Gv 10,11-13 (comparazione tra il buon pastore che dà la vita per le pecore e il mercenario che di fronte al pericolo fugge, senza interessarsi della sorte delle pecore) e Gv 10,14-18 (legame tra il pastore e le “sue” pecore secondo il progetto del Padre).

 

Riflessione biblico- liturgica

1. L’espressione “poimèn o kalòs” si può tradurre con “buon pastore”, “il pastore modello”, “il vero pastore”, “il pastore ideale”. Il pastore pasce per amore, il mercenario per interesse, per denaro. Non amando le pecore, nel pericolo, scappa e permette che il lupo rapisca e disperda le pecore. Al mercenario, “non gli importa delle pecore”, come a Giuda “non importava niente dei poveri”: l’allusione è chiara. Anche i Farisei hanno un comportamento simile: maledicono il popolo perché ignorante della legge (Gv 7,49) e lo espellono dalla sinagoga (cfr Gv 9,22.34). I capi politici pensano solo al loro potere (cfr Gv 11,48).

b. Il legame Gesù-Padre è lo stesso che intercorre tra i discepoli e Gesù. Le “altre pecore” rappresentano i pagani che, ascoltando la voce di Gesù, verranno a far parte dell’unica Chiesa. Cristo, infatti, illumina ogni uomo (1,9) e perciò è il salvatore del mondo (4,42). L’universalismo di Dio è evidente.

c. Il gregge appartiene al Padre: ciò che Gesù compie è fondamentalmente sia il progetto del Padre sia il bene del gregge (realtà coincidenti). Tutto ciò che fa Cristo, dunque, è per il Padre e per il gregge.