L'Editoriale
Non sono questi i giorni
Si rimpiange e si polemizza sul Natale senza brindisi, cenoni e scambio di auguri. ma questo è il punto di vista di chi ha la fortuna di essere sano
Dopo Pasqua anche Natale: tutti in lockdown, tutti con i soli conviventi, nei propri comuni di residenza. Situazione che ha creato e creerà un bel po’ di disagi, giorni di polemiche, voci di scontento e di pesanti aggravi alla situazione economica di alcune categorie di lavoratori che da questo fermo vengono molto penalizzate, a partire da ristoratori, gestori di alberghi e impianti sciistici. Ma anche teatri e cinema. Tutto vero, però.
Però non dobbiamo perdere di vista che, sulle festività imminenti, questa è la prospettiva dei sani: i più fortunati. Quelli che stanno bene, che mantengono il lavoro, che hanno – abbiamo – desideri pur normali figli di usi e tradizioni assodate, come la festosa girandola di incontri che accompagna e allieta i giorni da Natale all’Epifania. Ma il desiderio di una maggiore felicità o la speranza di giorni in buona compagnia non deve far scordare chi sta molto peggio.
I malati che stanno affrontando la loro battaglia contro il virus in una corsia di ospedale o sedati in terapia intensiva sono all’acme di un combattimento inconsapevole del calendario.
Le famiglie dei malati, e sono tante, che vivono col cuore pieno di speranza e paura per i propri cari ricoverati, che neppure possono visitare.
I medici e tutto il personale ospedaliero, che avranno la festa nel cuore e il lavoro nei giorni, pronti a prestare cure a chi soffre (grazie al cielo e per fortuna nostra).
Le stesse famiglie di medici e personale ospedaliero che non potranno condividere una messa insieme né la tavola delle feste.
Le famiglie che, in questo anno nero firmato Covid, hanno perso un proprio caro e sentono lontana la voglia di festa, vivendo con distacco se non fastidio quella gioia che appare – in certi frangenti – solo di superficie, luccicante e rumorosa come la carta stagnola accartocciata.
Ricordiamo sempre che non siamo soli in questa battaglia: nei primi giorni di dicembre in Italia si sono sfiorati i mille morti al giorno e mille sono complessivamente i morti in Friuli dall’inizio della pandemia: un altro terremoto del ’76; in Europa si è registrato un decesso ogni 17 secondi; gli Stati Uniti hanno inaugurato il mese con quasi tremila vittime quotidiane: quasi un 11 settembre al giorno. Per questo l’attenzione del mondo deve restare desta e ancora a lungo, pena il continuo proliferare di questo virus che non demorde, di contagi che si amplificano come centri concentrici quando nell’acqua cade un sasso. Ne conosciamo troppo bene le conseguenze per distrarci e festeggiare secondo consuetudine. Non sono questi i giorni.
Il 27 marzo – un venerdì santo di pioggia, buio e fragile speranza – papa Francesco ha ricordato: “Siamo tutti sulla stessa barca”. Lo siamo ancora. La crociera indesiderata a cui siamo obbligati continua.
Il nemico è lo stesso: logica vuole e intelligenza chiede di unire forze, risorse, strategie e animi per fare fronte comune. Ma se il Natale che arriva è ancora e sempre luce, vicinanza e condivisione che viene dalla gioia di una nascita, dobbiamo anche imparare a rincuorarci, darci reciproco coraggio. Anche se da lontano: per telefono, per mail, per lettera. Il Natale è vicinanza di cuori: regaliamola anche mettendo da parte desideri d’evasione. Gioiremo insieme domani.
Altrimenti siamo ancora ai capponi di Renzo – che pure rientrano nel classico menù delle feste – dato che, come scrisse Manzoni, quelle povere bestie “s’ingegnavano a beccarsi l’una con l’altra, come accade troppo sovente tra compagni di sventura”.